Gnut non si poteva certo definire un ragazzino sveglio. Lo si intuiva già dal nome, che significava “Piccola Costola di Basatosauro”.
A causa del suo nome veniva spesso preso in giro dai compagni di scuola che, molto poco affettuosamente, lo chiamavano PiCiDiBi.
In pratica succedeva questo: appena qualcuno lo vedeva arrivare lo apostrofava così: “Ehi, PiCiDiBi, ti sei pettinato con una mandibola di Tricopesauro, stamattina?” oppure “Guardate, PiCiDiBi stamattina ha indossato il perizoma al contrario!”. Il problema era che lui, boccalone come pochi, ci cascava sempre. Si controllava i capelli nel primo specchio d’acqua che incontrava o verificava di avere davvero indossato il perizoma nel verso giusto, togliendolo e rimettendolo.
Gnut era poco sveglio, è vero, ma questo non significava che non fosse in grado di capire quanto fossero sadicamente antipatici i suoi compagni di scuola. Tra l’altro, la sua non si poteva nemmeno definire mancanza di attenzione, bensì pigrizia.
Anche quella mattina Gnut uscì di casa. Oddio, chiamarla casa forse era troppo ottimistico, considerato che si trattava di un antro maleodorante sotto una montagna di roccia. Comunque, come ogni sacrosanta mattina, Gnut uscì di casa per recarsi a scuola.
La lezione, quel giorno, prevedeva un’ora di arte rupestre, una di pesca al Patraxius Virescens, specie di pesce gatto con zanne simili a quelle di un mammuth, però più piccole, e quattro poderose zampe a 12 dita, con artigli lunghi circa 3 centimetri l’una (anche se Gnut non aveva idea di quanto fosse lungo un centimetro, perché le unità di misura non erano ancora state inventate, era certissimo che la lunghezza fosse quella) con cui queste bestie repellenti e squamose usavano squartare le prede, infine una di “socializzazione”, che consisteva nel fatto che uno a caso veniva preso di mira dai compagni – e guarda caso era sempre lui – e mentre tutti, con profonda coesione e concordia d’intenti, gliene combinavano di ogni, questi, ovvero Gnut, doveva anche ringraziarli di essere stato il prescelto.
Il programma scolastico non aveva molte variabili, all’epoca, perché a parte imparare a cacciare e a sfuggire ai predatori, la vita preistorica non offriva granché.
A questo proposito, Gnut si ritrovava spesso a sognare ad occhi aperti e immaginava come sarebbe potuta essere la vita se fosse esistita la musica, o gli aperitivi, o il Sudoku.
Quella mattina, mentre era assorto in una di queste sue visioni immaginifiche (stava sognando di sfogliare qualcosa dal cui centro si srotolava l’immagine di una splendida creatura di sesso femminile in posa audace e senza pelle di Streptosauro!) raggiunse la scuola con un leggero ritardo, accorgendosi che i suoi compagni, che a quanto pare riuscivano ottimamente nella materia di socializzazione, stavano decidendo quale scherzo fargli.
“… fango e piume di Cretivarius già fatto, dobbiamo trovare qualcosa di più divertente, di più… creativo!” disse Uauf, un ragazzino tarchiato con la fronte bassa e piatta e la mandibola prominente.
“Che significa creativo?” chiese Worg, che non era sveglio nemmeno lui ma possedeva una forza fisica talmente sovrumana che nessuno si sarebbe mai permesso nemmeno di fargli “bù!”.
Uauf guardò Worg con un’espressione che aveva tutta l’aria di essere “quanto sei cerebroleso?” ma che, immediatamente dopo aver riconsiderato la stazza dell’amico, si trasformò in un sorriso: “significa… più divertente di più divertente”.
Worg lo guardò con aria perplessa e passarono un sacco di silenziosi minuti durante i quali Uauf sperò che Worg capisse, ma, consapevole che nulla sarebbe successo, distogliendo lo sguardo riprese il discorso: “Che ne dite di legarlo per i piedi con una liana, appenderlo a testa in giù e immergerlo nel lago dei Xumantiret?”
Gli Xumantiret, per chi non lo sapesse, sono parenti prossimi delle foche, tutt’altro che giocherelloni come si può giustamente pensare; non essendo ancora anfibi vivono sott’acqua e si procurano il cibo schiaffeggiando, con le loro enormi pinne laterali a spatola, le prede che si recano al lago ad abbeverarsi. Quando queste, stordite, cadono in acqua, per loro non c’è più scampo.
Capirete dunque perché Gnut, al termine di quelle parole, girò immediatamente sui tacchi, o meglio sui talloni, e decise che quella mattina avrebbe saltato la lezione.
“E’ ora di finirla con questa storia” disse fra sé e sé Gnut, “sono stanco di questa situazione grottesca. Quanto ancora dovrà durare?”
Gnut si fermò stupito: aveva appena inventato una nuova parola, “grottesco”! Pur ritenendo di aver fatto una cosa grandiosa, non ritenne però produttivo correre dai compagni per comunicare la storica invenzione e proseguì nel cammino.
Passeggiando, rimuginava sul da farsi, spremendosi le meningi nel tentativo di riuscire a trovare qualcosa che, finalmente, lo facesse risultare interessante agli occhi degli amici. Pur non avendo minimamente idea di che cosa fosse l’autostima e men che meno l’ego, riteneva che, se avesse avuto un’idea geniale, se avesse fatto una scoperta clamorosa o un’impresa storica, tutti avrebbero smesso di pensare che fosse un po’ tonto.
Non era tonto, si disse, era solo lento.
“C’è chi capisce tutto al volo e chi no. Io faccio parte della tribù dei no, di quelli che le cose gliele devi spiegare, che so? dieci, cento, mille volte. Ah! – esclamò, bloccandosi di nuovo e stupendosi per aver inventato anche quest’altra parola – ma quando poi le capisce non le dimentica più”.
Mentre con estrema lentezza terminava di formulare questo pensiero, un suono attirò la sua attenzione.
“Ehi tu!”
Fermandosi, fece scorrere lo sguardo per la foresta e la vallata, ma non vide nessuno. Vide solamente un enorme uovo di stercodattilo, che aveva riconosciuto perché il programma scolastico dell’anno prima prevedeva, appunto, il riconoscimento delle uova di dinosauro.
Pensando che il suono fosse frutto della sua immaginazione – “devo stare più attento a ciò che penso”, pensò – si rimise in cammino.
“Ehi tu, ho detto!”
Questa volta non c’erano dubbi, quel suono era reale, qualcuno aveva parlato.
“Non posso essere stato io – disse a voce alta Gnut – perché avevo giusto finito di pensare che devo stare attento a ciò che penso”
“Infatti sono stata io, idiota!” esclamò di nuovo la voce.
Osservando meglio, Gnut si accorse che di fianco all’enorme uovo di stercodattilo era seduta una femmina. Lentamente, le si fece incontro.
“Dici a me?” chiese Gnut, ma si rese conto troppo tardi di aver fatto una domanda stupida e di aver confermato, così, l’impressione data.
Sollevando lo sguardo al cielo con aria di sopportazione la femmina disse: “No, sto dicendo al Creptosauro dietro di te…”
Gnut si girò di scatto e fu, forse, la cosa che riuscì a fare più velocemente da quando era nato: “Dove? Come? Chi?”
La femmina si coprì il viso con le mani, scuotendo la testa con rassegnazione, poi, togliendole e guardandolo negli occhi gli disse: “Tu devi essere quello sveglio, vero? Ho sentito parlare spesso di te”.
Le orecchie di Gnut cominciarono a diventare rosse e calde e presto il rossore e il calore si estesero al collo e alle guance.
Con un improvviso moto di orgoglio, ben sapendo, però, di essere in difetto, esclamò: “E’ quasi certo che ti sbagli”
La bocca di lei si increspò in un sorrisetto sarcastico: “Quasi, certo. Piuttosto, vieni ad aiutarmi, se ci riesci”.
Avvicinandosi, Gnut si accorse che la femmina era immobilizzata perché aveva il vestito, o meglio la pelle di fittopardo, incastrata sotto l’enorme uovo.
“Perché non ti togli la pelle?” le chiese.
“Che splendida domanda! – esclamò lei – Forse perché non ho con me una lama tagliente, non essendo il ferro ancora stato inventato, e perché il mio vestito è talmente incastrato sotto questo coso che non riesco a togliermelo!”
“Giusto. Volevo solo vedere se eri preparata. Quindi cosa devo fare?” chiese Gnut, sentendosi sempre più stupido.
“Vediamo – riprese lei – forse potresti prendere quel pezzo di legno laggiù e potresti cercare di fare leva sotto l’uovo per provare a spostarlo”.
“Mi hai tolto le parole di bocca” ribadì Gnut cercando di essere il più credibile possibile, anche se sapeva benissimo che dopo avrebbe dovuto chiederle cosa intendeva dire con “fare leva”.
Recuperò il pezzo di legno, ne saggiò la resistenza e fece altre due o tre cose che, sperò, potessero farle credere che fosse un esperto in materia. Ne morse un pezzo, masticandolo con aria meditabonda e inghiottendolo con fatica, lo fece roteare in aria e infine ci camminò sopra riuscendo incredibilmente a mantenere l’equilibrio. Soddisfatto, la raggiunse.
Si guardarono per un po’, lui col bastone in mano, lei con la consapevolezza che da solo non ci sarebbe mai arrivato, quindi con dolcezza, con lo stesso tono che userebbe una mamma col suo bambino di quattro anni, disse: “Bene, ora prendi quel pezzo di legno, inseriscine un’estremità sotto l’uovo in corrispondenza della mia pelle di fittopardo e con entrambe le braccia produci una spinta verso il basso sull’altra estremità per cercare di spostare l’uovo”.
L’espressione vacua sul volto di Gnut fece presagire alla femmina che il lavoro sarebbe stato lungo e difficile, poi lui miracolosamente si scosse e gridò: “Fare leva!”
Aveva capito, aveva capito, e senza bisogno di chiedere!! Fece come lei gli aveva spiegato e dopo aver sudato sette pelli di snorf, riuscì a spostare l’uovo e a liberare la femmina.
Finalmente libera lei poté alzarsi e si sgranchì il corpo con delle mossette così graziose che Gnut ne fu estasiato.
“Come ti chiami?” le chiese.
“Mi chiamo Dralic, che significa Luna Che Danza Nel CieloTrapunto Di Stelle”
“Ah!” esclamò lui. “Posso chiamarti ElleCiDiEnneCiTiDiEsse?”
“No” rispose gelida.
A quella risposta Gnut capì che non era buona cosa insistere.
Non sapendo cos’altro fare, Gnut si guardò intorno e, schiarendosi la voce, disse: “Bello, qui, vero?”
“Bello per quanto possa essere bella una foresta equatoriale incolta, piena di animali pericolosi, priva di una toilette decente e di un supermercato” rispose lei ironicamente; poi riprese, con tono più dolce: “Comunque grazie, sei stato davvero gentile ad aiutarmi”.
Gnut gonfiò il petto. Non gli sembrava vero di essere riuscito a fare qualcosa di utile e per giunta tutto da solo. Sorrise, appoggiò con finta disinvoltura un braccio sull’uovo e poco prima di riuscire a dire sicuramente qualche sciocchezza, l’uovo si spostò e lui scivolò a terra.
Dralic rise, dapprima in maniera discreta, poi sonoramente. Gnut si rialzò, ormai consapevole di essersi giocato qualsiasi possibilità di risultare sessualmente appetibile vista la sua goffaggine e, incurante del rossore che di nuovo stava per salirgli al volto, diede uno spintone all’uovo.
Questi, trovandosi su un terreno leggermente in pendenza, cominciò a rotolare lentamente.
“Eppur si muove!” Esclamò lui, senza minimamente immaginare quanto, molte centinaia di anni dopo, quella frase sarebbe stata importante.
“Vedo” osservò lei “e con questo?”
“Sta… rotolando” proseguì lui.
“Diamine, che osservatore preciso e sagace sei!” lo schernì Dralic.
“Grazie, – rispose lui, non capendo minimamente l’ironia insita nella frase – faccio del mio meglio”. L’espressione sul volto di lei era inequivocabilmente quella di una persona che sta pensando “ma perché, perché gli idioti capitano tutti a me? Cos’avrò mai fatto di tanto grave in una mia vita precedente, sempre che prima di questa ne sia esistita un’altra, per meritare ciò?”. Intuendolo, le orecchie di Gnut ricominciarono a diventare rosse e calde e, prima ancora che il tutto si estendesse al resto della faccia, lui pensò: “Devo assolutamente dire o fare qualcosa di geniale, qualcosa che ancora nessuno ha mai detto o fatto o non riuscirò mai ad accoppiarmi con questa femmina!”
“Rotola verso il fondo valle, - ribadì – grazie al moto cinetico dovuto alla pendenza del terreno circostante. Questo significa che un oggetto di forma sferica o ovoidale, se posto su una superficie inclinata, a causa della forza di gravità riceverà una spinta pari alla sua massa che lo farà muovere da un punto X ad un punto Y, che chiamerò retta. In questo caso, l’uovo si muoverà di moto proprio e subirà un’accelerazione sempre più grande man mano che proseguirà nel suo tragitto. Ma, se prendiamo lo stesso uovo e lo posiamo su una superficie completamente piana, per muoverlo avremo bisogno di una spinta che sia pari alla sua massa più uno. Precisazione: mentre un oggetto di forma irregolare e avente spigoli, che possano essi farlo assomigliare ad un cubo, parallelepipedo o oggetto senza una forma ben descritta, può comunque rotolare, ma solo se prima al corpo stesso è stata applicata una spinta, un oggetto di forma concentrica rotolerà con moto proprio se posto su una superficie inclinata. Tutto ciò, però, presuppone un moto indipendente che non potrà essere controllato, quindi se volessimo dare al movimento una direzione ben precisa e definita, ritengo utile predisporre un foro, al centro dell’oggetto, ed inserire in esso un altro oggetto, che chiamerò asse, con cui gestirne il percorso. Ergo: tutto ciò che si muove ruota, ed ecco perché io questa invenzione la chiamerò ruota!”
Darlic, che durante tutta la spiegazione non aveva capito una beneamata fava ma era rimasta affascinata dalla sicurezza con cui Gnut aveva esposto questa sua scoperta, esclamò con un filo di voce: “Puoi chiamarmi ElleCiDiEnneCiTiDiEsse” e da quella frase Gnut capì che la sua stirpe non si sarebbe estinta.
Ecco come fu che Gnut divenne il cavernicolo più rispettato del quartiere. Dopo quel giorno e quella scoperta, più nessuno osò deriderlo e farne oggetto di scherzi. Anzi, dopo aver cominciato a produrre in serie le sue ruote e aver posto le basi della tecnica automobilistica - ferroviaria e aver scritto un saggio sulle autostrade e l’importanza dell’impollinazione naturale, tutti, nessuno escluso, presero l’abitudine di passare nella sua officina per salutarlo e chiedere notizie della moglie e dei figli. Ci fu chi chiese a gran voce che fosse eletto sindaco, chi volle fare di lui una rock-star, chi produsse gadget e memorabilia in suo onore. Da ogni parte del globo vennero in pellegrinaggio per pregare.
Infatti, all’interno della sua caverna-officina Gnut mise una teca su cui posò l’uovo di stercosauro che dette inizio alla sua fama e su di esso fece incidere l’acronimo QuDiCiTiEI 1.000.000.000 a. C. che significa Quello Da Cui Tutto Ebbe Inizio eccetera. Adesso sapete perché sui pneumatici che monta la vostra autovettura sono impresse tutte quelle sigle e quei numeri. Per ricordare.
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