martedì 18 dicembre 2007

L'ultima estate

Quella sarebbe stata l’ultima estate, per la “Confraternita dei Disadattati”, ma ancora non lo sapevamo.
Ero stato io a scegliere quel nome.
Eravamo sempre gli stessi. Ci ritrovavamo ogni anno nella stessa località di mare, nello stesso stabilimento balneare, sotto gli stessi ombrelloni uno in fila all’altro: io al 12, Michele al 13, Aurora e Walter al 14.
Ultima fila, naturalmente.
Quando avevo proposto di dare una sorta di “definizione” alla nostra piccola comunità mi avevano guardato come se fossi un alieno.
“Perché “dei disadattati”?” chiese Michele, sistemandosi gli occhiali sul naso, un gesto che faceva in maniera automatica, inconsapevolmente.
Rimasi per un attimo in silenzio, cercando le parole giuste per dirlo.
Qualche tempo prima avevo letto un romanzo che parlava di un college americano e dei vari gruppi che si formavano tra gli studenti. Erano tutte confraternite: c’era quella dei “Poeti Maledetti”, quella dei “Precursori”, quella delle “Shakespeare’s Ladies” e via discorrendo.
L’idea mi era piaciuta, l’avevo trovata romanticamente adulta, quindi l’avevo proposta, ma non immaginavo di doverne spiegare il significato e ora mi trovavo in leggero imbarazzo.
Michele era magrissimo, per la sua età. Un dodicenne filiforme con la pelle bianchissima e talmente trasparente che si poteva scorgere la fitta ragnatela azzurrina delle vene che l’attraversava. Aveva quel tipo di pelle che sarebbe rimasta sempre e solo rosata anche dopo tre settimane di esposizione al sole. Era talmente gracile che pensavi bastasse un alito di vento per portarselo via. Vista la sua magrezza, i genitori lo iscrivevano ogni anno ad uno sport diverso, in cui risultava immancabilmente negato; però era imbattibile nei videogiochi.
Aurora e Walter erano fratello e sorella.
La prima volta che vidi Aurora restai un po’deluso: una bambina con un nome così dolce avrebbe dovuto essere per lo meno carina, piena di lentiggini e con una cascata di capelli rossi. Invece mi ritrovai davanti una bambina troppo grassa, con un faccia da luna piena le cui guance tonde e carnose quasi facevano sparire la bocca, tanto questa era piccola e sottile. Aveva capelli neri tagliati a caschetto che, ad essere proprio sinceri, non le donavano assolutamente. E non rideva mai. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare una sola volta in cui l’avessi anche solo vista sorridere.
Walter aveva quasi 13 anni, un anno più della sorella, ma sembrava il più piccolo tra noi, non tanto fisicamente, anche se non poteva minimamente paragonarsi ad Aurora, quanto per via del suo comportamento. Era pieno di tic nervosi associati ad un problema di linguaggio. Non che fosse stupido, sia chiaro, però quando aveva un attacco particolarmente intenso diceva parole a caso, usando un tono di voce imbarazzante. Era una malattia, la sua: la chiamavano Sindrome di Tourette. La cosa che mi lasciava più perplesso, però, era il fatto che nessuno degli altri due pareva farci caso, quasi fossero abituati al suo strano comportamento.
Il che mi faceva pensare di essere io quello più strano, fra tutti.
Ero, come si suol dire, uno di quelli che “batte pari”: nessun tic, nessun difetto fisico particolare (almeno esternamente), intelligenza nella norma.
Eppure doveva esserci in me qualcosa che non andava, visto che preferivo la compagnia di gente così squinternata invece di quella della compagnia che frequentava abitualmente il bar del Bagno Papaia Nana.
“Beh, disadattati perché… – non potevo certo dire la verità – … siamo diversi dagli altri, non seguiamo il gruppo, non facciamo quello che fanno tutti” dissi cercando di essere il più credibile possibile.
Di nuovo Michele si sistemò gli occhiali sul naso: “Oh. Credevo riguardasse il fatto che non siamo tanto normali”.
Deglutii per prendere tempo, ma Aurora si voltò verso di lui: “Cioè?” domandò.
“Preeeeeeeeeeeeeecipitevolissime-vol-men-te!” gridò Walter all’improvviso, accompagnando l’urlo con una rotazione delle braccia che produsse un sensibile spostamento d’aria.
Michele guardò Aurora e rispose: “Ecco, appunto”.
Avendo gli ombrelloni poco distanti dal pergolato del bar, quello in cui c’erano i biliardini e i videogiochi, era chiaro supporre che l’urlo di Walter non fosse passato inosservato, infatti dal gruppetto di ragazzini che vi sostava scoppiò una fragorosa risata corale, mista a parole di dileggio.
Avrei dovuto essere ormai assuefatto alle “uscite” improvvise di Walter, ma ogni volta riscoprivo l’imbarazzo di essergli vicino e sentivo fortissima la tentazione di scappare gridando “non lo conosco, non so chi sia, mi sono perso!”. Cosa mi legasse a loro ancora non riuscivo a capirlo, ma qualcosa doveva esserci per forza, visto che non mi decidevo a staccarmene. Probabilmente mi sentivo l’unica persona in grado di “proteggerli” dalla cattiveria dei ragazzini che ci circondavano e questo gratificava il mio ego pur facendomi sentire contemporaneamente un idiota.
I ragazzini che sostavano sotto il pergolato potevano definirsi davvero ok: avevano tutti un’abbronzatura dorata, costumi alla moda. Le ragazzine, pur non avendo ancora il fisico adatto, sfoggiavano bikini dai colori sgargianti su corpi flessuosi e asciutti. Li osservavo con un misto di invidia e rammarico. Michele, Aurora e Walter erano miei amici ormai da qualche stagione e benché sentissi il desiderio di far parte del gruppo dei ragazzini “bene”, non riuscivo a trovare il coraggio di lasciarli.
“Dite che ce l’hanno con noi?” chiese Aurora.
Walter, dopo un paio di scatti a destra della testa, rispose: “Quasi sicuramente sì”.
Michele esclamò, seraficamente: “Togli pure il “quasi””.
Dopo un intenso scambio di parole, dal gruppetto si staccarono un paio di ragazzini, che si diressero con sicurezza verso di noi. Non so perché, ma sentii subito aria di guai.
“Ehi, psicolabili, che ne direste di una sfida a pallavolo?” chiese un ragazzino dai capelli così biondi da sembrare quasi bianchi; sul volto abbronzato un sorriso talmente bianco da abbagliare.
Sistemandosi nervosamente gli occhiali un paio di volte, Michele mi guardò; Aurora e Walter fecero altrettanto – Walter ci impiegò un po’ di più, visto che il suo braccio destro aveva deciso di fare qualcosa mentre la testa faceva altro - e dopo aver preso consapevolezza dei loro volti smarriti mi sentii investito da un’enorme responsabilità. Cosa avrebbero potuto fare una ragazzina grassa, un ragazzino quasi trasparente, uno che non sapevi mai cosa avrebbe fatto e uno come me?
Soccombere. Nient’altro che soccombere.
Sentii i miei neuroni lavorare a ritmo serratissimo: “Che ne direste, invece – ribattei –, di una sfida ai videogiochi?”. Mentre parlavo non riuscivo a fare a meno di guardare la ragazzina col costume rosa shocking tempestato di perline che stava dietro al biondino. Se Aurora poteva ricordare di tutto meno che l’idea della femminilità, quella ragazzina era ciò che si poteva quasi paragonare a una dea. Lei, la dea, si accorse di come la guardavo e si atteggiò, sistemandosi con civetteria i lunghi capelli castano dorati.
Il biondino finse di pensarci un po’, poi senza scomporsi: “Perché no? Chi perde paga il gelato a tutti”. Se per tutti intendeva che noi quattro avremmo dovuto pagare il gelato a loro, che erano circa una quindicina, mi balzò subito all’occhio che la sfida era alquanto impari e che era stata lanciata al solo scopo di farsi beffe di noi.
“Ok, dateci un momento per fare un po’ di tattica” dissi “ci vediamo al bar tra cinque minuti”.
I due ragazzini si allontanarono con la spavalderia di chi sa di avere già vinto.
“Ragazzi, è il nostro momento, se ci giochiamo bene questa carta, potremmo entrare a far parte del loro gruppo” dissi con tutta la sicurezza di cui disponevo.
“Carta? Ma non è una-a sfida-a ai viiiiiiiiiiiiiiiiiideogiochi?” chiese Walter lanciando in aria le braccia come chi sta facendo una “ola”.
Lo guardai con rassegnazione. “E’ solo un modo di dire. Ai videogiochi, sì… Se vinciamo forse ci accetteranno nel loro gruppo” esclamai.
“Perché, cosa c’è che non va nel nostro, di gruppo?” chiese Michele.
“Io ho fame” intervenne Aurora.
“Nel mio zaino ci sono alcune merendine. – risposi distrattamente ad Aurora, poi mi rivolsi a Michele, imbarazzato – Io… pensavo che magari… avremmo potuto allargare il nostro giro di conoscenze” spiegai.
Michele riprese: “Credevo che ci bastasse la nostra reciproca compagnia”.
“Ma ce-certo – balbettai, preso in contropiede – ci mancherebbe. Se non ti va, se non vi va… non siamo obbligati…”, poi, per stemperare il momento di imbarazzo mi rivolsi ad Aurora “mi passi una merendina, per favore?”
Aurora, dopo aver addentato l’ultimo boccone di trancetto al cioccolato esclamò: “Finite”.
Al momento non capii, erano passati così pochi minuti da quando me l’aveva chiesto!
“Finite? Ce ne sono quattro, nello zaino, ne ho portata una per ognuno” le dissi.
“Finite” ribadì.
Un dubbio legittimo attraversò la mia mente, ma feci finta di non coglierlo perché mi sembrava davvero assurdo pensare che… “Intendi forse dire… che le hai mangiate?” chiesi con tutta la cortesia che mi era possibile.
“Beh, tu non hai detto che si dovevano dividere” rispose lei, togliendo le briciole dalla maglietta bianca su cui campeggiava la scritta glitter “I’m your sweet baby”, dove la parola “baby”, che si trovava all’altezza della sua pancetta, era notevolmente distorta.
Il suo ragionamento non faceva una piega. Lo stupido ero stato io che non avevo pensato di specificare che avrebbe dovuto mangiarne solo una, come prevede la buona creanza, ma la sfida ci attendeva e decisi che avrei ripreso il discorso in un altro momento. Forse.
“Allora che dite? La facciamo questa sfida?” domandai, incerto.
“Barracudaaaaaaaaaaaaa!” gridò Walter, ma ero certissimo che non fosse in risposta alla mia domanda.
“Si può fare” rispose sorridendo Michele e questo mi fece tornare un po’ di buonumore.
“Io non so giocare ai videogiochi. L’unico a cui so giocare è Lady Bug” intervenne Aurora.
“Beh, faremo del nostro meglio” dissi con convinzione.
“Baaaaaaaaaaaaaarracudaaaaaaaaaaaaaaa!” Urlò di nuovo Walter e quello, non si sa come, non si sa perché, divenne il nostro grido di battaglia.

La sfida si rivelò impegnativa ma stimolante. Ognuno di noi sfidò qualcun altro ad un diverso gioco. Io vinsi la gara di biliardino in singolo battendo per 7 – 3, 6 – 4 e 8 – 2 un quattordicenne basso e muscoloso. I miei tre amici, ad ogni mio tiro andato a segno, urlavano “Barracudaaaaaaaaaaaaa!” e Walter, naturalmente, era il più agguerrito, perché era talmente preso dalla frenesia del gioco che sembrava un tarantolato che non riuscisse a stare fermo, il che suscitava la crudele ilarità di tutti gli altri ragazzini.
Aurora, incredibilmente, battè la “mia” dea a Lady Bug con uno score di 175.000 a 113.000. Probabilmente, l’aver mangiato tutte quelle merendine aveva contribuito, oltre ad innalzare il livello del suo colesterolo, anche a migliorare la sua abilità col joystick. Inutile dire che se da un lato esultavo per la vittoria di Aurora, dall’altro ero dispiaciuto per la sconfitta della morettina dai lunghi capelli, ma mi ripromisi che avrei trovato il modo di consolarla, prima o poi.
La sfida sostenuta da Walter fu un disastro: si trovò a dover gareggiare a Speed Race, un videogioco che simula una gara automobilistica, contro una ragazzina bionda e piccolina dall’aspetto dolce e remissivo che si trasformò in una furia quando cominciò la sfida. Fino ad allora non mi ero mai posto il problema di che aspetto avrebbe potuto avere una persona impossessata da un demone, ma guardandola giocare non ebbi nessun dubbio a riguardo: la tensione del gioco le distorceva i lineamenti; se prima il suo viso emanava un bagliore angelico, ora sembrava quello di un guerriero klingon a cui avessero schiacciato un alluce. Walter, scoordinatissimo nei movimenti, riuscì sì a far partire la sua macchina, ma non riuscì mai a farle terminare nemmeno un giro. Se fosse esistito un record per gli incidenti contro qualsiasi ostacolo (alberi, palizzate, muri, case, cani al guinzaglio e persino il traguardo stesso, però al contrario), beh, l’avrebbe vinto lui senza ombra di dubbio.
La sfida cruciale, infine, fu quella tra Michele e il biondino, che scoprimmo chiamarsi Kurt.
Benché italiani, i genitori del ragazzino in questione dovevano avere una passione per tutto ciò che era teutonico, perché i fratelli di Kurt si chiamavano Gertrud, Thor e Siegfrid e di teutonico non avevano solo il nome ma anche il carattere.
Il caso volle che ci fossero ben due videogiochi Mind Trap, uno vicino all’altro, quindi la sfida poté essere giocata in contemporanea.
Da una parte c’eravamo noi a sostenere Michele, dall’altra Kurt e il suo stuolo di seguaci. Erano circa una quindicina in tutto ma quando urlavano sembravano uno stadio pieno di tifosi durante la finale della coppa del mondo.
La partita ebbe inizio. Fin da subito si capì che il livello di entrambi i giocatori era molto alto, perché gli score avevano sempre una differenza che oscillava da -50 a + 50 rispetto a quello dell’altro. La sfida doveva giocarsi in 5 partite e il vincitore doveva aggiudicarsene tre.
La prima partita venne vinta da Kurt, con una differenza di score di soli 30 punti. La seconda partita venne vinta da Michele con uno scarto di 45 punti. La terza partita di nuovo a favore di Michele con uno scarto di soli 10 punti, mentre la quarta se la aggiudicò Kurt per un soffio. Inutile descrivere il nervosismo che si respirava. Michele, tra una pausa e l’altra, non faceva altro che sistemarsi gli occhiali. Li toglieva, li guardava, li puliva, li metteva, se li sistemava.
Io, da buon coach, gli massaggiavo le spalle, le mani, le dita, gli dicevo le solite frasi di circostanza “L’importante è partecipare” oppure “Credici, se ci credi ce la puoi fare” o anche “Secondo gli studiosi di fisica, il calabrone non può volare ma lui questo non lo sa quindi vola lo stesso”. Michele sorrideva, sembrava abbastanza sicuro che l’avrebbe spuntata, ma io vedevo guizzare un muscoletto nervoso a lato del suo occhio sinistro che mi faceva capire che anche lui era teso.
Walter era un tripudio di scatti, di urletti, di passeggiate con cambio di direzione improvvisa e imprevedibile. L’unica persona all’apparenza serena era Aurora, che probabilmente stava pregustando l’idea di poter mangiare di nuovo, a sbafo.
L’ultima partita iniziò sotto un cielo che andava man mano rannuvolandosi. Pesanti cumuli grigi presero ad addensarsi sopra la spiaggia. Michele e Kurt cominciarono la sfida finale agguerriti più che mai. I loro punteggi erano sempre in pareggio, sembrava che avessero mani, dita e mente in connessione fra loro, da quanto era simile il loro modo di giocare. Gli ostacoli nemici venivano eliminati senza pietà uno dietro l’altro, senza mai un errore.
Poi avvenne il miracolo.
Non si sa quale fu la causa, se una goccia di sudore, un insetto o un raggio di sole che fece per un istante capolino da dietro la coltre di nubi, fatto sta che Kurt chiuse gli occhi un istante più lungo del dovuto e fu la disfatta. Perse il ritmo nei colpi e venne colpito a sua volta, perdendo alcune vite. Michele, invece, continuava a colpire, colpire, colpire senza mai sbagliare.
La vittoria di Michele fu salutata con grida e strepiti di esultanza sia da parte mia che da parte di Walter. Dimentico dell’imbarazzo che provavo quando Walter veniva preso dai suoi attacchi, lo abbracciai saltando assieme a lui. Mentre saltavo esultante, gridando “Barracuda, Barracuda!!!”, riuscii a scorgere con la coda dell’occhio Aurora che addentava un grosso cornetto al cioccolato con granella alla nocciola.
Non aveva perso un istante.
Nel momento stesso in cui Kurt aveva chiuso gli occhi, lei aveva intuito tutto ed era andata a prendersi il meritato gelato gratis.
Inutile dire che la vittoria di Michele non venne osannata altrettanto felicemente dalla controparte. Anzi, Kurt, dopo aver preso a pugni il videogioco, si voltò verso di noi e minacciò: “Non finisce qui”, e si allontanò nervosamente, seguito dai suoi amici.
In quel momento un tuono lacerò il silenzio e Michele ci gridò: “A casa mia, andiamo!” e tutti cominciammo a correre, tranne naturalmente Aurora, che ci seguì placidamente, continuando a mangiare il suo cornetto.
La casa di Michele era una bella villetta in mattoni rossi, circondata da un giardino molto curato.
Al contrario di me, Aurora e Walter, che venivamo al mare solo durante le vacanze estive, lui ci abitava tutto l’anno. Ci chiudemmo subito in camera sua e, una volta dentro, restammo per un attimo a bocca aperta. Tutta la parete sopra il letto di Michele era tappezzata da fasce colorate. Lì per lì non riuscii a capire cosa fossero. Avevano tutto l’aspetto delle fasce che le miss indossano durante i concorsi di bellezza, ma le frasi che vi si leggevano sopra non avevano nessuna inerenza a nessun tipo di concorso.
“Gli amici del biliardo ti ricorderanno per sempre”.
“Ora potrai giocare a bocce con gli angeli”.
“Quando verrà il mio momento so che sarai lì ad attendermi”.
“R.I.P.”
Ogni fascia aveva il testo scritto in maniera preziosa, chi con le lettere in oro, chi in argento, chi con la scritta a rilievo. Le fasce erano in stoffa o in plastica, a seconda del gusto e della disponibilità economica delle persone che le aveva richieste.
Dopo aver letto gran parte delle fasce appese guardai Michele: “Correggimi se sbaglio… ma queste non sono quel tipo di striscioni che la gente mette… sulle corone da morto?” chiesi.
Michele sorrise. “Non sbagli”, rispose, “questa è la mia collezione personale”.
Aurora, che fino a quel momento aveva la bocca troppo impegnata per poter proferire parola, esclamò, sbigottita: “Collezioni fasce da morto?”
“Sì”, rispose con naturalezza Michele, sorridendo, poi proseguì: “Sono sempre stato affascinato dalla fantasia dei messaggi che la gente usa per dare l’ultimo saluto alle persone care. Qui ne vedete alcuni esempi, ma la mia collezione non finisce qui. Ne ho alcune che sono davvero esilaranti. Persino quello di una vedova che ci ha fatto scrivere “Finalmente!”…”
Io ero letteralmente estasiato. Dopo il primo istante di stupore dovuto alla scoperta di questo strano passatempo, cominciai a guardare Michele con occhi diversi.
Non era un ragazzo come gli altri. Forse il suo pallore cadaverico era la conseguenza della sua passione, o forse era solamente un ragazzo troppo “avanti” rispetto a noialtri che pensavamo solo a mangiare o a evitare di sentirci in imbarazzo se qualcuno faceva qualcosa fuori dell’ordinario.
Passammo il resto del pomeriggio a leggere altre fasce da corona mortuaria e a ridere come pazzi. Tutti tranne Aurora, naturalmente, il che mi portò a pensare che dovesse avere qualche problema ai muscoli facciali, ma dopo aver riflettuto pensai che non era possibile, visto come funzionavano bene quando doveva masticare…

Il mattino dopo la giornata era splendida: non un filo di vento, non una nuvola a sporcare il cielo terso.
Io, Michele, Aurora e Walter stavamo giocando pigramente sotto il mio ombrellone. Eravamo assorti in una partita a “Uno” quando una voce ci fece trasalire.
“Ehi, fenomeni!”
Ci voltammo tutti di scatto, tranne Walter che gridò qualcosa, voltandosi dalla parte opposta.
Kurt e altri tre ragazzini ci stavano scrutando con facce poco simpatiche.
“Che ne dite di una gara alla pista di pattinaggio, stasera?” chiese Kurt.
Guardai i miei tre amici, prima di rispondere, ma come sempre loro guardarono me e nessuno di loro fiatò, quindi mi toccò rispondere a nome di tutti: “Perché… no?”
La mia, però, era più una domanda rivolta a Michele, Aurora e Walter, che una risposta vera e propria.
Senza dare a nessuno possibilità di replica, Kurt esclamò: “Perfetto, alle nove alla pista. Ci vediamo stasera. Chi perde paga per tutti”.
Stavo per ricordargli che noi tre non avevamo usufruito della nostra vincita, il giorno prima, ma preferii lasciai cadere il discorso. Ne avremmo riparlato la sera stessa.
Sistemandosi gli occhiali sul naso, Michele confessò: “Io no so andarci, sui pattini. E’ già tanto se mi reggo in piedi. Ho fatto un corso, due anni fa, ma mi facevo così tanti lividi che la mia maestra una volta mi chiese se a casa mi trovavo bene e se coi miei genitori era tutto a posto…”
Aurora si inserì nel discorso: “Io sono bravissima”.
“Wroooooooooooooooooooom” gridò a quel punto Walter, alzandosi in piedi di scatto.
“Io me la cavo. Insomma, non sono un campione, però non sono nemmeno da buttare” dissi.
“Allora non abbiamo di che temere”, rispose Michele sorridendo e spingendo gli occhiali sul naso.
Riprendemmo a giocare a Uno e ci dimenticammo della gara.

La pista di pattinaggio era un ovale di cemento circondato da una palizzata in ferro composta da archi tubolari incrociati alla base, alta circa un metro e trenta, circa. Al centro della pista c’era un altro ovale, più piccolo, anch’esso provvisto di una palizzata alta neanche un metro. Il pavimento della pista era leggermente inclinato così che le curve risultavano leggermente sopraelevate rispetto alle parti in rettilineo. Doveva essere lunga circa 25 metri e larga una decina, ovale centrale compreso.
La musica era assordante e luci intermittenti colorate illuminavano il tutto dall’esterno, dando la sensazione di pattinare in un specie di discoteca all’aperto.
Arrivammo in leggero anticipo e noleggiammo i pattini, tranne Aurora che indossò i suoi. La parte più complicata fu allacciare i pattini ai piedi di Walter perché pareva che i suoi piedi, da seduto, avessero intenzione di fare qualsiasi movimento, tranne che stare fermi, ma alla fine ci riuscimmo.
Michele, dopo aver indossato i suoi, prese a muoversi verso la pista aiutandosi col corrimano mentre io restai indietro a dare una mano a Walter che, con profondo stupore di tutti, sembrava invece perfettamente a suo agio sui pattini, pur muovendosi sempre con traiettorie impazzite.
Una volta entrati in pista ci accorgemmo che Kurt e i suoi tre amici, quelli che avrebbero partecipato alla gara, erano già arrivati. Ci videro e ci si fecero incontro con scioltezza, scivolando tra la gente senza il minimo sforzo. La gara avrebbe dovuto svolgersi in una pista affollata e questo era un fattore a cui non avevo pensato.
Gridando, Kurt disse: “Si devono fare 8 giri di pista. Ogni giro parte dalla cabina del bigliettaio e termina quando la si raggiunge di nuovo. La gara è a staffetta, si comincia in due e gli altri proseguono dopo ogni 2 giri. Vince chi termina l’ottavo giro per primo. Ok?”
“Ok” gridammo noi quattro in coro e Walter aggiunse “Barracuda!”, accompagnando l’urlo con un involontario passo di danza che rischiò di farlo cadere.
Prima di cominciare, ogni squadra si prese qualche minuto per decidere una linea di gara.
“Secondo me” esordii “dovrebbe cominciare Aurora e subito dopo io. Sia io che Aurora ce la caviamo e potremmo cercare di fare un buon tempo così da dare a voi due la possibilità di andare un po’ più piano. Che ne dite?”
Michele e Walter annuirono in silenzio, anche perché parlare e farsi sentire in tutto quel chiasso era pressoché impossibile. Ebbi la sensazione che Michele fosse più pallido del solito, quindi mentre Aurora si dirigeva con sicurezza verso la linea di partenza, io aiutai Michele a raggiungere la postazione e gli domandai: “Tutto bene?”
Michele, pattinando scompostamente attaccato al mio braccio, sorrise cercando di rassicurarmi: “Tutto ok. Vorrà dire che cercherò di correre sempre vicino alla palizzata, per farmi più coraggio”.
“Ottimo”, gli sorrisi, e corsi a dare man forte ad Aurora.
Lei era già sulla linea di partenza e guardava la pista con espressione seria ma tranquilla. Questa volta il suo sfidante era il ragazzino che io avevo battuto a biliardino, ma lei non sembrava minimamente impressionata.
“Credi di potercela fare?” le urlai.
“Ho fatto il pieno di energia e sui pattini sono una campionessa” disse senza distogliere lo sguardo dalla pista, poi si voltò a guardarmi e in quel momento mi parve di scorgere nei suoi occhi un barlume di allegria, ma sono più propenso a credere che fui confuso dal variare delle luci colorate.
“Fidati”, mi disse, e tornò a guardare la pista.
Kurt, dal bordo pista, addossato al gabbiotto del bigliettaio cominciò a contare:
“Tre – due – uno… VIA!”
Aurora e il suo avversario partirono contemporaneamente e benché il ragazzino fosse ben messo, fisicamente, lei sui pattini acquisiva una grazia e una velocità che mai ci si sarebbe aspettati da una ragazzina così grassa. Alla fine del primo giro di pista Aurora aveva più di metà giro di vantaggio rispetto al suo avversario. Appena passati, io mi sistemai sulla linea di partenza e, con profondo stupore, mi accorsi che il mio rivale era nientemeno che la bellissima ragazzina dai lunghi capelli castani, che in quel momento mi stava guardando con aria di sfida.
“Non è possibile – pensai – questo è un altro colpo basso. Passi far gareggiare Aurora con un ragazzo, che la stazza è abbastanza simile per entrambi, ma io come faccio a non avere pietà per una ragazza così… deliziosa?”
Credo che l’angoscia mi si leggesse in faccia, perché la bellissima dea che avevo a fianco cominciò a ridere sonoramente. A quel punto dentro di me qualcosa si mosse; forse orgoglio, forse competitività, forse voglia di rivalsa, ma decisi che non mi sarei fatto distrarre né da lei né da nessun altro. Sarei andato dritto per la mia strada e avrei cercato di accumulare più vantaggio possibile per facilitare il compito a Walter e a Michele.
Avevo appena terminato di pensare a tutto questo quando mi accorsi che Aurora aveva quasi terminato il suo secondo giro. Mi misi in posizione e partii a razzo appena lei toccò la mia mano stesa verso di lei. La ragazzina dai lunghi capelli dovette aspettare quasi un giro prima di partire, il vantaggio di Aurora aveva del miracoloso! Corsi come un pazzo più veloce che potei. Alla fine del primo giro riuscii a scorgere davanti a me la mia avversaria e la doppiai con un urlo di soddisfazione. Mentre mi avvicinavo alla linea di arrivo vidi Walter già pronto a prendere il mio posto. Gli toccai la mano gridando “Barracudaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!” con tutto il fiato che avevo in corpo e lui partì con sicurezza, rispondendo al mio grido con un altro “Barracudaaaaaaaaaaaaaaa!”
Mi fermai ansimante e sudato e Michele mi raggiunse piano piano. Entrambi osservammo il nostro amico farsi strada a strattoni, le braccia che si muovevano in modo scomposto, le gambe che si allargavano e si stringevano senza nessuna logica. Ma lui miracolosamente restava in piedi.
Con la mia gara eravamo riusciti ad avere un giro e mezzo di vantaggio che però Walter stava pian piano divorando. Alla fine del suo primo giro il vantaggio si era ridotto a poco meno di un giro.
Michele si mise in posizione sulla linea di partenza. Io lo incalzavo “Non guardare l’avversario, non pensare alla corsa, non temere se vai piano. Tu cerca di pattinare meglio che puoi e non pensare a niente,ok?” gli gridai.
Michele si sistemò gli occhiali e annuì silenziosamente. Il suo avversario era Thor, il biondissimo fratellino minore di Kurt, ma Michele non lo degnò di un solo sguardo. Intorno a noi, adesso, era tutto un urlare di ragazzini che incitavano Thor, le loro urla erano udibilissime nonostante il volume della musica. Walter stava arrivando. Il vantaggio si era ridotto a solo mezzo giro di pista.
Toccò la mano di Michele e lui partì, prima un po’ insicuro, poi prendendo man mano confidenza con la pista. Thor partì di lì a poco e si capì immediatamente che piega avrebbe preso la gara: era piccolo ma molto determinato e, soprattutto, velocissimo.
Michele era già alla prima curva e Thor stava per terminare il rettilineo. Michele imboccò il rettilineo prima della curva finale, seguito dappresso dal piccolo biondo teutonico.
Successe tutto così velocemente che nessuno capì come avvenne.
Michele, per evitare una bambina che viaggiava di fronte a lui si sporse un po’ al centro pista, proprio mentre da dietro arrivava il picolo Thor che non poté evitarlo.
Lo scontro fu così violento che Michele si ritrovò catapultato al centro dell’ovale piccolo, ma solo dopo aver urtato la balaustra bassa.
Mi lanciai in mezzo alla pista, seguito a ruota da Aurora e raggiunsi Michele.
Entrai nell’ovale e lo presi tra le braccia: non respirava. Provai a chiamarlo. Il ritornello della canzone continuava a ripetere “I wanna dance dance dance till the sun goes down uh-ooooh… uh-ooooh” e io riuscivo solo a pensare che era una canzone troppo stupida per fare da colonna sonora alla morte del mio migliore amico.
Alzai la testa verso Aurora: stava ridendo. La guardai sgomento: com’era possibile ridere in una situazione così tragica? Può la mente umana essere così stupida da scegliere un momento così sbagliato per esternare un’emozione così sbagliata? Poi mi accorsi che rideva e piangeva nello stesso momento. Io non ce la facevo. Non riuscivo a piangere.. Mi sembrava tutto così strano, così assurdo. Mi guardai intorno e vidi che Kurt, i suoi fratelli, il ragazzino tarchiato e la mia splendida dea osservavano la scena ammutoliti. A quel punto piansi.

Quella fu l’ultima estate della “Confraternita dei Disadattati”. Non ci fu, come nei film, un’ultima scena con la scritta fine, ma una striscia colorata azzurra con una scritta a caratteri dorati a coprire una piccola bara.
La scritta diceva: “Barracuda!”

lunedì 17 dicembre 2007

Letterina...

"Cara Befana,
scrivo a te perché sei una donna e sicuramente puoi capirmi. L'anno scorso ho scritto a BabbEo Natale e, pur avendogli dettagliatamente scritto quello che desideravo, ho ricevuto un regalo che poi ho dovuto riciclare. Spero di essere più fortunata con te.
Cara Befana, so che il regalo arriverà in ritardo, però volevo chiederti se quest'anno riusciresti, almeno tu, a portarmi l'uomo della mia vita. Non chiedo molto, mi basta che sia gentile, che mi dia una mano in casa e che ami i bambini. Insomma, non chiedo la luna, no? Puoi aiutarmi?
Grazie, Melissa"

"Cara Melissa,
intanto grazie per la preferenza accordatami, anche se ritengo che aspettare 42 anni prima di ricordarsi che esisto mi sembra un lasso di tempo un po' lunghetto, ma farò finta che non m'importi, anche se in realtà mi ribolle il sangue dall'ira.
Credo di avere l'uomo che fa per te: si chiama Piero, ha sessantadue anni e vive a Reggio Calabria. Te lo incarto o te lo mando così com'è?
Ciao, Befana"

"Cara Befana, credo tu mi abbia preso un po' troppo alla lettera. Va bene che sia gentile, disponibile e ami i bimbi, ma anche che non sia così anziano e abiti un po' più vicino a me. Io sono Melissa di Concorezzo, ricordi?
Grazie ancora, Melissa"

"Cara Melissa,
hai fatto bene a specificare, credevo tu fossi la Melissa di Torre Sabaudia, la vedova con 8 figli. Credo di dover optare, allora, per Cesare, 48 anni, benzinaio. So che ama molto i bambini perché ne ha avuti due dalla moglie precedente.
Tua Befana"

"Cara Befana,
io ti ringrazio, ma preferibilmente lo vorrei non ancora divorziato e nemmeno padre. So che ti sto chiedendo molto ma so che mi capirai.
Melissa"

"Cara Melissa,
in riferimento alla tua prima lettera mi sembrava di aver capito che lo volessi gentile, disponibile e amante dei bambini. Ora si scopre che lo vuoi dietro casa, ancora celibe, senza figli e giovane. Comunque... ho scartabellato nello schedario ed è venuto fuori Paolo: 44 anni, nubile, di Lesmo, becchino al cimitero di Monza. Gran lavoratore, guadagna molto per via degli straordinari che fa spesso nei finesettimana.
Come te lo mando?
Befana"

"Cara Befana,
non so come dirtelo: è perfetto. Ma non si potrebbe averlo con un impiego un po' più normale?
Melissa"

"Cara Melissa,
già il fatto che tu abbia smesso di ringraziarmi mi sta un po' sulle balle e tralasciamo anche il fatto che sto perdendo un sacco di tempo a rispondere alle tue letterine, considerato che non sei l'unica Melissa sul globo terracqueo. Comunque, dopo ulteriori ricerche ho scovato Marcello: dirigente d'azienda, single, sportivo, si dedica al volontariato in un gattile alle porte di Nova Milanese, ama i bambini e aiuta le vecchiette ad attraversare la strada.
Befy"

"Cara Befana,
Marcello sarebbe perfetto se non fosse che sono allergica ai gatti e odio le vecchiette fin da quando mia nonna mi obbligava a mangiare la peperonata fredda a merenda, quando andavo a trovarla. Dai, fai un ultimissimo sforzo, so che una donna piena di risorse come te non mi deluderà
Mely"

"Cara Mely,
comincio un attimino a spazientirmi, ma siccome sono CERTA che con quest'ultimo esemplare riuscirò ad esaudire il tuo desiderio, rispondo anche a quest'altra tua.
45 anni, celibe, villa monofamiliare con piscina, nessun animale, nè domestico nè selvaggio. Adora i bambini e ne vuole almeno tre. Sa riparare qualsiasi cosa, è attivo, sportivo, ama viaggiare, ottima posizione economica. Si chiama Terenzio ed abita a Concorezzo.
B."

"Terenzio?
Ma che razza di nome è Terenzio? Ma uno con un nome più normale non lo si trova? E poi, scusa, la villa chi la deve pulire, io? Per non parlare dei figli: è già abbastanza uno, figuriamoci tre!
M."

"Cara Melissa,
hai ragione, forse non sono stata così precisa nelle mie ricerche, ma sono sicura di aver trovato l'uomo che fa per te: si chiama MACHEMMINCHIAVUOI?, abita su Alpha Centauri e guida le astronavi modello EMMO'HAIROTTOERCAZZO. Viaggia molto per lavoro, tra Marte e Plutone perché commercia in MAVVAFFANCULO galattici che vanno che è una meraviglia.Non stare a venire a prenderlo tu, TE CE MANNO IO E CON GRANDE GUSTO.
Tua BeFAMOLAFINITASTAVOLTA"

"Cara Befana,
credo che il Minipimer sia ok.
Grazie, Melissa.
Quella di Concorezzo"

mercoledì 12 dicembre 2007

Confessioni

"Padre, mi perdoni perché ho molto peccato"
"Dimmi, fratello, cosa ti angustia"
"Ecco, non saprei"
"In che senso?"
"Nel senso... che ci faccio qui? E lei chi è?"
"Come chi sono io? Questa è una chiesa, tu sei inginocchiato al mio cospetto nel mio confessionale e io sono il prete che ti libererà dai tuoi peccati"
"Quali peccati?"
"Come quali peccati? Non hai forse appena detto, fratello, che hai molto peccato?"
"Ah, ma quella è la formula. Io non devo confessare nulla"
"Come sarebbe? Vuoi forse dirmi che sei esente da peccato?"
"Esente da peccato nessuno lo è, ma dipende cosa s'intende per peccato"
"Beh, i peccati sono molti e diversi..."
"Per esempio?"
"Per esempio c'è la superbia, che è quella che stai dimostrando tu ora nel dire di non aver commesso peccati"
"Ah, sì, la superbia. E' anche forse quel tipo di peccato che ti fa credere di essere così superiore da poter condonare i peccati altrui e benedirli?"
"Beh, no, ecco... se ti riferisci a noi preti posso dirti che non è superbia, la nostra, ma che noi siamo stati prescelti da Dio per..."
"Prescelti da chi? Da Dio? A me sembra che nelle chiese ci siano solo uomini. Non vedo nessun Dio"
"Figliolo, non essere irriverente. Dio lo vedi laggiù, è quel giovane appeso alla croce, colui che è morto per redimere tutti i nostri peccati"
"Padre, io su quella croce vedo solo un uomo come lei e me. Tra l'altro, più carino di lei e me, se vogliamo"
"Ma quell'uomo era figlio di Dio"
"E noi no?"
"Certo che anche noi lo siamo"
"Allora, mi scusi, perché lei dev'essere investito di questi poteri mentre io invece no?"
"Ma perché io, figliolo, ho studiato anni per divenire ciò che sono"
"Scusi, quindi lei cosa sarebbe?"
"Ma un prete, figliolo!"
"Quindi non è un uomo?"
"Certo che lo sono, ma sono anche..."
"E non ha gli stessi bisogni di qualsiasi essere umano?"
"In che senso?"
"Lei mangia?"
"Certo"
"E Dio?"
"Dio no, non ne ha bisogno"
"Capisco. E mi dica, lei beve?"
"Sicuro"
"E Dio?"
"Dio no, non ne ha bisogno"
"E lei... lei dorme?"
"Naturalmente"
"E Dio?"
"Dio no, non ne ha bisogno"
"Perdoni la domanda... va in bagno?"
"Certo, regolarmente"
"E Dio?"
"Dio no, non ne ha bisogno"
"E mi dica... le capita mai di avere desideri... sessuali?"
"Certo, ma con la preghiera e la forza di volontà noi..."
"E a Dio?"
"Dio no, non ne ha"
"Allora come può, Lei, che in tutto e per tutto è identico a me nei bisogni e nelle esigenze, permettersi di redimermi dai peccati? Non è forse anche lei un uomo quindi fallace come me?"
"Ecco, sì, vista in questi termini..."
"E mi dica, padre, secondo lei chi, fra me che sgobbo dalla mattina alla sera per pagare l'affitto, fare la spesa, mantenere figli e garantire loro un'adeguata istruzione e lei, che se ne sta in questa chiesa opulenta, servito e riverito dalla sua perpetua, che mangia a sbafo ed ha studiato con i soldi dei contribuenti, è più da biasimare?"
"Ma vedi, fratello, la questione non è da vedersi in questi termini ma..."
"E mi spieghi, padre, perché, mentre io convivo pacificamente con mia sorella lesbica, il collega gay, la prostituta all'angolo che di giorno fa la volontaria al gattile vicino a casa mia, lei, invece, che predica l'amore universale nei suoi sermoni, non fa altro che additare con sdegno queste persone che ritiene immorali?"
"Ma perché..."
"Ma mi dica anche, Padre, perché il figlio del dirigente della confindustria le fa da chierichetto mentre il figlio del vucumprà che vende gli accendini tutte le domeniche sul suo sagrato e che frequenta la parrocchia e ogni sabato sera accende un lumino alla madonna lo mette sempre a togliere la cera dai candelabri? Non è forse lei che predica l'uguaglianza?"
"No, ma vedi, fratello, ora..."
"E come mai il fratello del sindaco, morto suicida, ha avuto le esequie e la cerimonia funebre mentre la figlia quattordicenne della bidella della scuola media, morta suicida a seguito di una violenza, è stata tumulata senza nemmeno una preghiera?"
"Queste sono questioni più grandi di noi che..."
"Di noi chi, padre? Di noi uomini?"
"Sì, beh..."
"Vuol forse dirmi che Dio non ha mai detto che meritano amore sia i peccatori che i giusti?"
"Non lo nego, infatti..."
"Vuole forse dirmi che nella bibbia non c'è scritto "andate e moltiplicatevi" perché vostro è il regno dei cieli?"
"No, appunto..."
"Allora mi spiega perché lei fa differenze tra uomo e uomo, tra donna e donna, tra bambino e bambino?"
"... perché sono un essere umano"
"Capisco. Posso andare?"
"... sì. ... Figliolo, una domanda..."
"Dica padre"
"... potrei venire con te a bere un bicchierino? Avrei bisogno di parlare un po'"
"Ma certo, padre. E per l'occasione, offro io"

martedì 11 dicembre 2007

Edonismo

Un utente di Netlog mi ha fatto riflettere sul fatto che la vita dovrebbe servire esclusivamente come ricerca della felicità. A tale proposito, mi sono ricordata della parola "edonismo", sono andata a cercarne la definizione su wikipedia e così come l'ho trovata la posto:

"Edonismo etimologicamente dal greco antico Edoné, piacere, è, in senso generale, il termine con il quale si indica qualsiasi genere di filosofia, o scuola di pensiero che riconosca nel piacere (e non, ad es., nel bene o nella felicità) il fine ultimo dell'uomo. Tale tendenza in filosofia fu rappresentata nell'antichità in particolare da Aristippo, fondatore della scuola cirenaica.
Fra i principali esponenti dell'edonismo, nel corso della storia molti si sono richiamati alla filosofia di Epicuro. Il pensiero epicureo, tuttavia, ha molti aspetti di complessità che ne rendono riduttiva una interpretazione strettamente edonistica, quale pure esso ha ricevuto nel corso della storia - fino a giungere all'identificazione dell'epicureismo con l'edonismo più spicciolo, votato al mero piacere dei sensi. In realtà, secondo la dottrina di Epicuro, che è una dottrina eudaimonistica (cioè volta alla felicità e non al mero piacere), il solo piacere da perseguire è quello catastematico, cioè quello duraturo e non transeunte, legato ai soli beni necessari e capaci di mantenersi inalterati nel tempo (quali ad es. l'amicizia e l'atarassia, cioè il distacco dalle passioni, proprio del saggio). Il piacere cinetico, ovvero transeunte e proprio dei sensi, va invece esercitato, secondo Epicuro, con grande moderazione.
Nell'opinione comune, il termine "edonismo" è giunto a significare, col tempo, non solo una corrente filosofica, ma più genericamente ogni comportamento e costume di vita che risulti volto in modo esclusivo o prevalente al raggiungimento del piacere immediato. Si definisce perciò edonista colui che è dedito al lusso, al vizio, al perseguimento del piacere sessuale.
Un'ulteriore accezione con cui il termine viene utilizzato è quella socio-economica di "edonismo reaganiano", di invenzione giornalistica. Con esso si vorrebbe indicare la tendenza spiccatamente individualista che la società occidentale assunse negli anni ottanta, in cui le dottrine politico-economiche dominanti propugnavano l'autosufficienza economica dell'individuo dallo Stato assistenzialista, il libero mercato, i tagli alla spesa pubblica e la riduzione delle imposte. In tale contesto, l' "edonismo reaganiano" rappresenta una "legge della giungla" economica, in cui non c'è spazio per la solidarietà sociale e la competizione per emergere, economicamente e quindi socialmente, è senza esclusione di colpi".

Ora, tralasciando l'ultima parte relativa al reaganianesimo ( diamine, pare una dottrina! ), io mi soffermerei su una riflessione: credo di aver capito come mai l'essere umano non è in grado di trovare la felicità, né a breve né a lungo termine.
Come ho fatto?
Beh, ma scusate... io ancora ancora riesco a capire il significato di "etimologicamente" e "pensiero epicureo", ma quando poi mi si parla di:
- eudaimonistica;
- catastematico;
- transeunte;
- atarassia;
- propugnavano
ecco, qui cominciano i guai!

A prescindere che "propugnavano" mi fa venire in mente "pugnette" e, quindi, mi fa capire come mai tanti si rifugiano nell'onanismo ( come cos'è? Dai che lo sapete... Come no? Impossibile! Eddai, su... ), ma la questione è: come faccio a capire in che direzione andare per ricercare la felicità quando mi usate dei termini così complicati?
Non basterebbe dire: amatevi, mangiate, bevete, fate all'amore, giocate, gioite e via discorrendo?
A che serve usare paroloni che non fanno altro che confondermi le idee?
E poi vorreste farmi trovare la felicità!
Voglio dire solo una cosa: la felicità esiste, si tratta solo di trovarla in quello che SAPPIAMO ci rende felici.
Sei felice davanti ad un tramonto? Meraviglioso!
Sei felice se trombi come un riccio? Fantastico!
Sei felice quando fai le parole crociate? Stupendo!
Sei felice quando pianti semi di peperoncino e fragole selvatiche? Grandioso!
Insomma, qualsiasi cosa tu faccia, fà in modo che ti renda felice ( e che, magari, non renda infelice un altro, ma insomma, questa è la vita, no? )

Boh, a me piacciono le cose semplici. I paroloni li lascio a chi vuole riempirsene la bocca. Io me la riempio con altro.

venerdì 7 dicembre 2007

videogiochi

Sto impaginando un piccolo opuscolo (se fosse stato grande probabilmente si sarebbe chiamato opurme, da opu + enorme, n.d.r.) che verrà poi allegato ai DVD Hard che distribuisce l'azienda per cui lavoro. L'opuscolo contiene informazioni di vario genere: dai titoli degli ultimi film porno disponibili agli eventi in riviera adriatica, dai siti più curiosi alla recensione di film e videogiochi.
Come dite? Che ci azzeccano queste informazioni con i DVD porno? Beh, tra un orgasmo e l'altro questa gente avrà diritto ad un po' di informazioni, no?
Comunque...
... una di queste recensioni riguarda un videogioco appena uscito, Godzilla Save The Earth. Leggiamo insieme la recensione e preparate i kleenex perché mai in vita mia ho letto tante cazzate messe assieme:

Godzilla
Il mostro più famoso dell’animazione e del cinema mondiale in un picchiaduro devastante. Nove modalità di gioco differenti, tra cui una modalità storia, vi permetterà di salvare il mondo dall’invasione degli alieni Vortak attraverso diverse missioni multiobiettivo quali: elimina tutti i mostri su schermo, nuota da Tokyo a San Francisco evitando gli attacchi dei sottomarini, etc. 18 mostri a vostra disposizione, dai classici Mothra e Godzilla fino ai nuovi SpaceGodzilla e Biollante! Sbloccate tutti i mostri disponibili completando le missioni dello Story Mode. Livelli tre volte più grandi e più interattivi: devastate completamente le città più famose del mondo quali San Francisco, Tokio, Osaka, Parigi, Los Angeles e New York!
Usate l’ambiente come arma: scagliate auto, lampioni e palazzi interi contro i mostri nemici! Sistema di combattimento avanzato: prese, attacchi energetici e combo da 14 e più colpi consecutivi! Include la modalità online anche per 4 giocatori! Combattete contro altri giocatori di tutto il mondo sia su PlayStation 2 che su Xbox!

Ma analizziamo nel particolare:

"Il mostro più famoso dell’animazione e del cinema mondiale in un picchiaduro devastante": a prescindere che io non parlerei di Godzilla in termini di CINEMA MONDIALE, la cosa che balza all'occhio è il "picchiaduro devastante". Poi domandiamoci come mai i nostri figli crescono violenti.

"Nove modalità di gioco differenti, tra cui una modalità storia, vi permetterà di salvare il mondo dall’invasione degli alieni Vortak": modalità storia? Tipo? Ah, sì: "C'era una volta un piccolo dinosauro di nome Godzilla a cui la mamma chiese di portare la meremda di tarantole fritte alla nonna in convalescenza..." Cos'è una modalità storia? E chi sono i Vortak, i parenti prossimi dei Prozak? Abitano in Kazakistan? Si fanno di crack? Io gli unici alieni che conosco sono i Vogon e mi sono per giunta simpatici... Poi domandiamoci come mai i nostri figli crescono boccaloni.

"elimina tutti i mostri su schermo, nuota da Tokyo a San Francisco evitando gli attacchi dei sottomarini". Nuota da Tokio a San Francisco? Ma chi sei, Mandrake? Che razza di prova è? I sottomarini? Vuoi vedere che la seconda guerra mondiale non è ancora mai finita? Poi domandiamoci come mai i nostri figli crescono supereroi.

"devastate completamente le città più famose del mondo quali San Francisco, Tokio, Osaka, Parigi, Los Angeles e New York!" Bravi, bravissimi! Clap clap clap... anni e anni spesi cercando di inculcare nei ragazzi l'amore per l'ambiente, l'educazione, l'etica ecologica e voi gli fate devastare completamente le città più famose del mondo? Protesto! Mancano Casalpusterlengo e Reggio Emilia. Voglio vedere Godzilla devastare campi e campi di ortaggi concimati a letame e a non scappare per la puzza! Poi domandiamoci come mai i nostri figli crescono debosciati.

"Usate l’ambiente come arma: scagliate auto, lampioni e palazzi interi contro i mostri nemici!" Ecco, poi non stupiamoci se i nostri ragazzi, all'uscita dagli stadi, si mettono a fare certe bravate. Non è colpa loro, se glielo fanno fare in un videogioco vuoi non rifarlo nel rione di casa tua? E poco importa se ci rimetti l'auto appena comprata, la vetrina del negozio di cui stai ancora pagando il mutuo... loro lo fanno per SALVARE IL MONDO! Poi domandiamoci come mai i nostri figli crescono cretini.

Insomma... io davvero rimpiango giochi come LadyBug o quell'altro coso giallo con la bocca a triangolo - Pacman - che mangiava i puntini sullo schermo seguendo un percorso ben preciso! E l'idraulico? SuperMario Bros, che fine ha fatto? E il King Kong che buttava giù i barili dalle rampe inclinate, dov'è finito? Quante partite cercando di buttar giù mattoncini bianchi usando un mattoncino bianco e una pallina... e tira di sponda, e tira di rimbalzo, e perdi la pallina... E al tetris? Non ci gioca più nessuno? E il solitario! Quanti ve ne saranno mai venuti su 1000? Dire tre è esagerare.
Ma soprattutto... perché chiudersi in casa ed alienarsi davanti ad un PC? Perché crearsi una vita alternativa su Second Life? Stiamo diventando cibernetici? Siamo sicuri di essere fatti di carne ed ossa oppure ha ragione Matrix e siamo solo una lunga sequenza di byte senza importanza?
Speriamo che al Game Over qualcuno inserisca nuovi Coin...

Test: sei un vero uomo?

Mediamente, al giorno, quante volte pensi al sesso?
a ) Perché, c’è qualcos’altro a cui pensare?
b ) Dalle 10 alle 15 volte. Al minuto.
c ) Non sono (sesso) quel tipo (sesso) di uomo (sesso). Per me (sesso) la donna è (sesso) un essere angelico che (sesso) va trattato (sesso) con estrema (sesso) gentilezza e, soprattutto (sesso) (sesso) (sesso) educazione.

Una sera, in disco, vedi una che ti piace. Come approcci?
a ) Ciao, adoro tutto quello che inizia per EFFE e finisce in IGA, credi sia possibile parlarne davanti ad un cocktail e una scatola di preservativi?
b ) Mi pare di intuire che tu sia un’esperta linguista, giusto?
c ) Ciao, nel momento stesso in cui i miei occhi si sono posati su di te ho capito che sei la donna con cui vorrei fare tanti bambini. Ti va se cominciamo adesso?

Quante volte ti masturbi?
a ) Eeeeeh...aaaaaaaaaaaaaaaaaaah...?
b ) Quasi mai. Ultimamente. Ho la borsite al gomito e NON SO COME MI SIA VENUTA!
c ) La masturbazione è l’ultima spiaggia, il palliativo per quegli uomini che non hanno una vita sessuale regolare... come? Le borse sotto gli occhi? Io?

Quali sono le tue fantasie erotiche quando ti masturbi?
a ) Quanti anni luce di tempo hai, per ascoltarle tutte?
b ) Minnie, Paperina, Clarabella, Candy Candy, Peline, Charlotte, Margot, Pluto...
c ) Dolcenicla. No, eh? Non mi credete? Uffa...

Posizione preferita per fare l’amore?
a ) Tutte quelle che portano all’orgasmo.
b ) Tutte quelle che non comportano slogature e contusioni.
c ) Tutte quelle che piacciono alla mia donna. Quando c’è. Se c’è. Insomma... nel caso accada, intendo.

L’ultima volta che lo ha “fatto strano”?
a ) dieci minuti fa, sulla fotocopiatrice. Nel negozio di fotocopie. In vetrina...
b ) Uhm, vediamo... mumble... ecco... nel 1989... no, aspetta...
c ) Stamattina. Due mulatte e una sciampista. Poi mia madre mi ha svegliato...

Preferisci essere preda o cacciatore?
a ) Cacciatore. Con tutti i colpi in canna che mi ritrovo, posso fare una strage!
b ) A volte cacciatore, a volte preda. Dello sconforto.
c ) Assolutamente preda. Avete capito? Ehi, dico a voi, non fate le gnorri... SONO QUIIIIIIIIIIIIIIIII!

Maggioranza di risposte a:
Sei un uomo... ehm, scusa? Dicevo... uhm... sei un uomo che... Insomma, quanto ti manca? ... Che non ha... ok, aspetto, ma... uff... finito? Posso? Un uomo che va diritto al sod... e vabbé, ma se ti fermi un attimo posso dirtelo, chediamine!!!

Maggioranza di risposte b:
Per essere un vero uomo ti manca il VERO. Sei proprio un uomo, ovvero non ragioni. Il tuo unico neurone - maschio, naturalmente, altrimenti si chiamerebbe neuronA - sta ancora vagando nel tuo cranio disabitato in attesa che succeda qualcosa e nel frattempo, visto che non sa cosa fare, si trastulla il peduncolo. Dovresti prendere lezioni di buone maniere, seduzione e di savoir-faire, ma ancora non ho conosciuto nessun uomo, al mondo, che ne sia capace. Pazienza.

Maggioranza di risposte c:
Inutile che fai la parte dell’uomo sensibile, attento e disponibile. Alle donne piace l’uomo forte, quello che sa fare tutto, dal riparare le tapparelle al creare la bomba atomica con due stuzzicadenti, un elastico e del lievito Bertolini. Gli uomini zerbino non vanno più di moda. E smettila di leggere Cenerentola: tu dovresti fare il principe, non la principessa!

giovedì 6 dicembre 2007

Impariamo a riciclare i regali

Benvenuti, gentili telespettatori e telespettatrici all'attesissimo appuntamento con "Il Natale: due gran balle così!"
Oggi impareremo l'arte di riciclare i regali e, soprattutto, la sottile perfidia nel rifilare lo stesso dono a chi ce l'ha regalato l'anno prima.

A tutti sarà capitato di ricevere IL REGALO, ovvero quell'oggetto lontano anni luce dal nostro carattere, dalle nostre esigenze o dai nostri desideri e di dover esibire il classico sorriso di circostanza accompagnato da un "Oh, ma che bel pensiero...".
Ebbene, la prima cosa da fare, in casi simili, è riuscire a far sì che i muscoli facciali non tradiscano il vostro reale pensiero, che normalmente va da: "Mio Dio, e adesso come faccio a disfarmene?" a "Bene, devo fare di nuovo spazio in soffitta".
Il secondo passo è prendere il coraggio a due mani e:
- o ammettere, con tutte le conseguenze del caso (divorzi, rottura di amicizia, fine relazione a scopo sessuale, licenziamenti, catastrofi naturali, calvizie, stitichezza cronica), che il regalo in questione è la cagata più oscena che vi sia mai stata regalata;
- o cominciare a riflettere sulla vendetta che, come si ben sa, è da gustarsi fredda (a meno che non ci siano 20° sotto zero, il che vale almeno una scaldatina).

Ma partiamo dal presupposto che siamo tutti così codardi da non ammettere nemmeno sotto tortura che il regalo ricevuto sia inguardabile, inindossabile, ingestibile: non ci resta altro che "archiviare" il rifiuto natalizio e pensare a come disfarcene.

Il metodo più carino, ma anche inflazionato, è quello di organizzare il classico pomeriggio prenatalizio del tipo "ognuno porti il regalo più brutto che ha che poi si pesca dal mazzo e se lo piglia qualcun altro". A prescindere che non si sa come, non si sa perché, si troverà sempre qualcuno che allo scartare del proprio obbrobio esclamerà "ommaccheccarino!!!" e che vi farà intuire di avere degli amici che in quanto a gusto lasciano a desiderare (domandatevi poi come mai siano amici vostri), uno dei rischi più grossi, in questi casi, è la noia. Eh, già, perché ogni anno, ad ogni nuovo "pomeriggio prenatalizio", i regali da riciclare saranno sempre gli stessi e hai voglia ad incartarli in modi e colori differenti, ormai avrete memorizzato le sagome e le dimensioni e saprete già cosa state per pescare. Ergo, preferirete sbucciare tre chili di pistacchi o arachidi piuttosto che riprendervi la pipa tirolese con piantana a trepiede.

Un altro metodo carino - e che aiuta a fare nuove conoscenze - è quello del mercatino nel giardino sotto casa. E' sicuramente vantaggioso economicamente, perché vendere gli oggetti che vi sono stati regalati vi darà un ricavato del 100%, ma è anche abbastanza rischioso perché nella lista degli invitati al mercatino dovrete essere più che certi di non inserire le persone che vi hanno regalato gli oggetti che state vendendo. Questo presuppone un lavoro certosino di archiviazione, catalogazione, sistemazione che solo i veri professionisti sono in grado di gestire, ma se siete dei temerari, beh... auguri! In caso contrario abbiate almeno l'accortezza di cammuffarvi con impermeabile, baffi finti, occhiali scuri e, nel caso qualcuno vi domandasse "Che ci fa lei nel giardino di mia nipote?", cercate di rispondere con un chiaro ed indiscutibile accento straniero. E' chiaro che conciati in questo modo non cuccherete, ma bisogna saper correre dei rischi.

Il medoto del riciclo vero e proprio. Ci sono persone che, non si sa come mai, riescono sempre a regalare l'oggetto più assurdo che si possa immaginare. La nonna che regala il pigiamone rosa coi coniglietti alla nipote EMO in odore di suicidio, il MiniTritaTutto alla cugina anoressica, la cravatta con Donald Duck al cugino senza collo, i guanti da sci ad un monco e via discorrendo... Ebbene, in questi casi non c'è niente di più godurioso che contraccambiare. Prendete QUEL pigiama, QUEL MiniTritaTutto, QUELLA cravatta etc..., incartatela per benino e allegate un biglietto che dice: "Ho notato l'entusiasmo nei tuoi occhi quando me l'hai regalato tu, addesso è il mio turno". Ricordate, però: nel momento stesso in cui lo regalate, la persona vi farà la scontata domanda: "Ma... è quello che ti ho regalato io?". È inutile che vi dica di negare anche l'evidenza. A questo proposito, tenente sempre a disposizione queste frasi di circostanza: "L'ho trovato ad un'asta su EBay" - "Avevi dimenticato lo scontrino nel pacchetto e ho potuto risalire al negozio in cui l'hai comprato" - "Ho sognato lo zio Mario che oltre ai numeri da giocare al lotto mi ha detto dove trovare il regalo per te" - "Me lo sono ritrovato fra le mani dopo una seduta spiritica" - "L'ho rubato".

Infine, l'arte di cammuffare riciclando. Ok, anche quest'anno la zia vi ha regalato un setter fermaporta in ceramica bianca in dimensioni naturali; la mamma un servizio da te da 24 in porcellana cinese che fa pendant con il servizio da caffè e quello da tavola coordinato al servizio di posateria e mestoleria che non avete MAI usato perché la vostra casa è arredata in stile liberty e lo stile Ming ci fa a pugni; il cugino asceta vi ha regalato l'enciclopedia "l'arte di ascendere senza trascendere" in 48 volumi rilegati in foglie di palma... non lasciatevi prendere dallo sconforto, la soluzione c'è! Andate in un negozio di bricolage e comprate colla, nastro adesivo, forbici, cutter, lamette, colori spray, acrilici, ad olio, nastri, bottoni, pietruzze colorate, specchietti, spago, cartoncini etc... e poi cominciate.
Colorate di grosse chiazze colorate il setter fermaporta, applicate degli specchietti colorati e mettete nastri alla cazzodicane, dopodiché spacciatelo per una delle ultime opere d'arte di quel famosissimo scultore peruviano del 1300 e guai a chi osa dire il contrario. Siete anche autorizzati a fare la faccia contrita nel caso qualcuno mettesse in dubbio che sia mai esistito un artista di nome Ildebrando Soares Guatemalteco Gonzales y Canchaco.
Prendete il servizio da te, quello da caffè, quello da tavola e passateci sopra con uno schiacciasassi (mod. Caterpillar, per intenderci). Recuperate le briciole e amalgamate il tutto in una betoniera unendo due flaconi di Vinavil da 1 kg l'uno, della vernice tipo Flatting, chiodi di garofano e porporina. Colate l'impasto in uno stampo per budini e fate cuocere in forno a 220° per circa mezz'ora. Togliete l'impasto solidificato dagli stampini e decorate questi finti budini con bottoni di ogni forma e misura e regalateli come bomboniere alla prima occasione. Farete un figurone!
L'enciclopedia: strappate le pagine di tutti e 48 i volumi, tagliatele a striscioline, incollatele le une alle altre formando una base quadrata su cui andrete a posare altre striscioline su cui andrete a posare altre striscioline su cui andrete a posare altre striscioline fino ad ottenere una poltrona di carta pressata che, se viene male regalerete a chi volete, se viene bene terrete nel soggiorno di casa e in caso di necessità getterete nel camino per riscaldare le serate invernali e rompere le palle a Babbo Natale, che tanto è sempre il nonno e ha un po' rotto gli zebedei con queste tradizioni del piffero.

Nella prossima puntata scopriremo come riciclare le uova di pasqua, come liberarsi dei regali degli ex fidanzati senza restituirli, come fare un pinzimonio a regola d'arte e la french manicure usando la cassetta degli atttrezzi che avete in garage.

lunedì 3 dicembre 2007

Intolleranze

“Salve, avrei bisogno di fare il test sulle intolleranze”
“Certamente. Innanzitutto compiliamo il modulo: nome e cognome?”
“Umberto Galimberti”
“Età?”
“48”
“Peso?”
“82 chili”
“Altezza?”
“1,80”
“Bene. Quando ha scoperto di essere intollerante?”
“Quando ho scoperto che non mi piacciono i gay”
“Scusi?”
“Non tollero i gay”
“Mi scusi, ma questo è un ambulatorio, non lo studio di uno psicologo”
“A me hanno detto che visto tutte le intolleranze che ho, avrei dovuto fare il test”
“Ma qui si parla di intolleranze alimentari o prodotte da elementi esterni come la polvere eccetera”
“Eh, appunto. I gay sono elementi esterni, non li tollero proprio. Così come non tollero i drogati”
“Senta, scusi, non ci siamo...”
“Come no? Io e lei siamo qui, noi ci siamo”
“No, intendo dire, non ci siamo col ragionamento”
“Ah, perché, lei coi drogati riesce pure a ragionare?”
“No, intendo dire...”
“Vede? Nemmeno lei ci riesce. Per non parlare dei lavavetri. Non li sopporto proprio”
“Senta, le spiego: qui si tratta di esami medici...”
“Uh, i medici, un altra categoria che non tollero! Che ormai vai dal medico e nemmeno ti visita più, scribacchia qualcosa e tanti saluti e grazie. Poi però devi pagare il ticket per le medicine e il resto...”
“Allora, adesso cerco di spiegarmi meglio...”
“Uuuuuuuuuuuh, guardi, glielo dico, i saputelli non mi sono mai piaciuti!”
“Ma che saputelli e saputelli, sto solo facendo il mio lavoro!”
“Ecco, anche quelli che ti fanno sentire inferiori! Brutta razza”
“Senta, mi ascolti, ora le spiego: questo è un ambulatorio medico, facciamo analisi del sangue, ha presente?”
“Sì. Non sono stupido, so leggere le targhette sulle porte”
“Ecco, appunto. Le intolleranze di cui parlo e di cui ci occupiamo qui, sono quelle derivate da cibi o corpuscoli estranei che...”
“Gli estranei! Altra roba che non tollero: chi è tutta questa gente che viene qui nel nostro paese, non sanno nemmeno parlare l’italiano e ci portano via le case, il lavoro e le donne?”
“Non parlo di quegli estranei, parlo di sostanze nocive, di alimenti”
“Ah. Ecco. Beh, non sopporto il fegato”
“Oh, finalmente cominciamo a capirci. Che sintomi le dà il fegato?”
“Niente, quando lo vedo dal macellaio mi viene il vomito”
“Intendo dire quando lo mangia”
“Mangiare? Io il fegato non lo mangio. Solo l’odore mi fa venire la nausea”
“Ma allora non è intollerante al fegato”
“Come no? Meno lo vedo e meglio sto”
“Capisco. Senta, allora... ci sono due diversi modi di essere intolleranti, uno dovuto agli alimenti e uno dovuto a fattori esterni”
“Non conosco fattori esterni, abito in città e in campagna non ci vado mai”
“Senta, lei mangia?”
“Certo, altrimenti a quest’ora sarei morto, no?”
“Bene, ne sono convinta anch’io, anche se a volte una bella dieta drastica non guasterebbe”
“Insinua, forse?”
“Giammai, ci mancherebbe. Quindi, dicevamo, lei mangia”
“Sì, tre volte al giorno”
“Ecco. E non c’è qualcosa, tra quello che mangia, che magari la fa star male?”
“Uhm, vediamo... Ah, sì, il latte”
“Perfetto”
“Perfetto un corno. Quando bevo il latte appena tolto dal frigo poi devo subito correre in bagno”
“Tralasciamo il latte, allora. Qualcos’altro che le fa male?”
“Il fegato”
“Ma mi ha appena detto che non lo mangia”
“Vero, ma lei mi ha chiesto cosa mi fa male. A me fa male il fegato”
“Non intendevo... male nel senso che sta male se lo mangia”
“Ma allora è dura di comprendonio, eh? Gliel’ho detto prima che non lo mangio!”
“... Senta, facciamo prima a fare così: mi dica tutto quello a cui è intollerante e io compilo la scheda, poi le dirò cosa fare”
“Allora, vediamo... a parte i drogati, i gay, i medici, i finti tonti, i saputelli, i superbi, gli estranei, il fegato e il latte, non tollero minimamente chi in macchina cerca di superarti a tutti i costi, chi ti ruba il posto in fila alla cassa, chi si mangia le unghie, chi fischietta, chi ti legge il giornale mentre sei sull’autobus, chi non strizza bene il tubetto del dentifricio, chi parla a voce alta al telefono, i ragazzini che si baciano al parco, la mia dirimpettaia che stende le sue mutande sul balcone, il tizio del terzo piano che torna alle tre di notte e sbatte il cancello, i bambini che giocano a palla in cortile, il puzzo del ristorante cinese sotto casa, i cinesi, i russi, gli arabi, gli africani in genere, buona parte dei filippini, i meridionali, quelli del rione di fianco al mio, tutti i condomini del palazzo di fronte, i miei colleghi, il panettiere all’angolo, il carrozziere, la parrucchiera e le sue aiutanti, la bidell...”
“Senta, scusi, mi è venuto un crampo alla mano. Facciamo una cosa, può dirmi cosa tollera? Forse facciamo prima”
“Ok, allora... dunque... vediamo... Ce l’ho, eh? Adesso mi viene in mente. Sì, dunque, uhm... eppure mi sembrava di ricordare che nel ‘79... Ah, sì, ecco, ce l’ho! I chewing-gum alla menta piperita”
“I chewing-gum alla menta piperita?”
“Già”
“Capisco. Eh, beh... è gravissimo. Terribile. Non so come dirglielo”
“Cosa?”
“Vede... oddio, non so proprio da dove cominciare”
“Che c’è? Parli... non mi faccia stare in ansia”
“Sì, sùbito. Il fatto è che... la menta piperita...”
“... Sì?”
“E’ velenosa”
“Velenosa? Come sarebbe a dire, velenosa? E’ dalla tenera età di 4 anni che mangio chewing-gum alla menta piperita”
“Mio Dio, è più grave del previsto, allora!”
“Cosa? Come? Chi?”
“Non so se si salverà”
“Ma chi, io? Perché? Che succede, me lo dica!”
“La menta piperita ha degli effetti collaterali terribili...”
“Oddioddioddio... cosa posso fare? Avete un rimedio?”
“Mi faccia pensare... sì, un rimedio ci sarebbe”
“Sia lodato il signore, quale?”
“Queste supposte”
“Supposte?”
“Sì. Sono l’unica arma vincente per debellare gli effetti devastanti della menta piperita”
“Ma sono enormi!”
“Preferisce morire?”
“No, ma... le devo inserire tutte intere o posso spezzarle?”
“Intere. Tre al giorno. Mattina, pomeriggio, sera”
“Tre al giorno?”
“Sì”
“Per quanto tempo?”
“Finché non le passeranno tutte le intolleranze”
“...”
“...”
“Sa mica se le passa la mutua?”

mercoledì 28 novembre 2007

Anache?

“Amore, dormi?”
“Ho un libro in mano, l’abatjour è accesa e ti sto guardando... secondo te?”
“... uhm... Cosa leggi di bello?”
“L’assenza di perspicacia nell’uomo dopo i trent’anni. Perché?”
“Niente. Mi domandavo... ti andrebbe di fare all’amore?”
“Ti rendi conto che stiamo andando avanti a farci domande già da un paio di minuti?”
“Gia, sì. Vero. Senti... pensavo... e se facessimo qualcosa di un po’ perverso?”
“Ah, ma allora è davvero il gioco delle domande! Tocca a me, ora: tipo cosa?”
“Pensavo... ecco... c’è qualcosa che desidero e ancora non ho provato e mi piacerebbe... se ti va...”
“Tesoro, arriva al dunque, sto invecchiando, nel frattempo”
“Facciamo sesso anale?”
“No”
“Perché no?”
“Perché no”
“Eddai, che ti costa?”
“Niente. Non mi va e basta”
“Ma scusa, perché? Dimmi solo il perché, dammi una motivazione valida”
“Perché lo trovo contro natura e perché fa male”
“Ma ci hai mai provato?”
“Sì, una volta, ed è stato abbastanza disastroso”
“Ma ti posso assicurare che io sarò gentile”
“No”
“Eddai, faccio piano piano”
“No”
“Prometto che prima di entrare metto l’olio per massaggi, quello alla mandorla e aloe, che ammorbidisce”
“No”
“Eddai, Amoruccio... non può essere così terribile, no?”
“Dici? Allora facciamo una bella cosa, tesoro: in frigo ho delle zucchine fresche fresche, appena comprate. Visto che dici che non può essere così terribile, facciamo che prima ti infilo una bella zucchina su per il tuo adorato culetto e poi mi dici se ti è piaciuto?”
“Beh, adesso non esageriamo...”
“Perché? Ti prometto che faccio piano piano”
“Ma no, dai. Il mio culetto sta bene così com’è”
“Beh, anche il mio”
“Ma dai, Amore... da che mondo e mondo il sesso anale s’è sempre fatto, no?”
“Giusto, Tesorino. Ribadisco l’offerta: tu ti fai deflorare con la zucchina e, se ti è piaciuto, poi io me lo faccio fare da te”
“Ma dai, su. Che bisogno c’è di farlo anche a me?”
“Scusa, perché a me sì e a te no?”
“Ma perché l’uomo sono io!”
“E questo che significa, tu il culo non ce l’hai?”
“Sì ma... insomma, io sono un uomo, non sono gay!”
“Nemmeno io sono lesbica”
“Eddai, su. Ti stai aggrappando a delle scuse puerili”
“Puerili? Ti sto proponendo uno scambio equo: visto che TU dici che non è poi così terribile, e visto e considerato che non l’hai mai provato direttamente, quindi parli per sentito dire, chi è il puerile?”
“Ma non c’è bisogno che io provi, si sa che è così!”
“Si sa? Lo sa chi? Tu? I tuoi amici del poker e del biliardo? Lo avete mai provato? No, quindi abbi la compiacenza di stare zitto o di provare, prima di parlare”
“Senti... voi donne vi depilate ovunque, partorite, avete una soglia del dolore altissima e mi vuoi dire che il sesso anale vi fa male? Eddai, è una scusa puerile”
“Ripropongo l’offerta: prima zucchina e poi il resto”
“Allora vuol dire che non mi ami”
“Non ti amo? NON TI AMO? Vediamo: hai voluto cospargermi di cera e te l’ho permesso. Hai voluto bendarmi, legarmi come un cotechino, riempirmi di nastro adesivo argento e te l’ho permesso. Hai voluto che mi infilassi in tutine in latex che quando me le sono tolte ci ho rimesso il primo strato di epidermide e anche questo l’ho fatto. Sei voluto andare in un Club privè e mentre ti scopavi una fotomodella islandese io mi sono dovuta sorbire le spinte asmatiche di un uomo d’affari di mezz’età sudaticcio e scivoloso. Hai voltuo farlo in tre, io, tu e la tua amica del cuore Isabella, quella con le tette grosse e la sgnacchera aromatizzata al salmone stantio, e anche questa te l’ho concessa. L’abbiamo fatto in macchina, sul pianerottolo, nell’ascensore dell’edificio in cui lavori, sulla tua scrivania in videoconferenza con Shanghai, in camera dei tuoi durante la cena di Natale coi bambini che andavano e venivano mentre tu dicevi “Babbo Natale sta arrivando, viene, vieneeee”; in autostrada, nella piazzola d’emergenza, vicino alla colonnina dell’SOS, coi camionisti che strombazzavano e sfanalavano con gli abbaglianti, forse anche perché mi avevi messo a 90° sul cofano della macchina... e dopo tutto questo vieni a dirmi che NON - TI - AMO?”
“Se tu mi amassi davvero lo faresti”
“Capisco. Beh, allora non posso fare altro che dirti il vero motivo per cui non posso”
“Quale?”
“Non ho il culo”
“Ah”
“Eh, sì. L’ho perso durante i bombardamenti della guerra d’indipendenza fra la Caucasia e il Kazakistan”
“Uh, cavoli...”
“E ancor prima di quella terribile esperienza le ragadi anali e un grappolo di polipi avevano già minato il mio delicato apparato cacatorio”
“Cavoli! Non me l’avevi mai detto...”
“Già. Sai, son cose che segnano...”
“Mi dispiace...”
“Non importa, tesoro...”
“Allora... buonanotte”
“Notte”

Al buio

“Stasera ho un incontro al buio”
“Cavoli! E come farai a capire di essere nel posto giusto?”
“In che senso?”
“Beh, al buio è un po’ difficile orientarsi...”
“Michela... al buio inteso che andrò a cena con uno che non conosco!”
“E ti fidi? Io avrei paura!”
“Beh, guarda, ultimamente sono più i casi di omicidio fra familiari che tra estranei. Bisognerebbe aver più paura di andare a pranzo dai genitori la domenica...”
“Beh, non divagare. Chi è, questo buio?”
“Uno che ho conosciuto su internet”
“Ma dai!!! Su internet? E come hai fatto?”
“Mi sono iscritta ad uno di quei siti dove puoi trovare l’anima gemella”
“Ossignùr, una sorta di agenzia matrimoniale online? E ti fidi?”
“Beh, intanto ci esco, poi si vedrà. E comunque ci siamo scambiati un sacco di messaggi, prima”
“Dai, racconta, racconta.”
“Allora, innanzitutto ti devi scegliere un nickname e una password”
“Cos’è?”
“Il nickname è un nome di fantasia, qualcosa che ti renda unica, accattivante”
“Uhm. Per esempio?”
“Mah, non so... fragolinasucculenta, oppure profumoselvaggio, o anche vellutoecatene”
“Ah. E questi sono nomi che acchiappano?”
“Boh, non lo so, era per farti un esempio”
“E tu che nicneim hai scelto?”
“Ghiacciobollente”
“Ghiacciobollente? Tu ghiacciobollente? Una che va a letto con le moffole e i pedalini? Una che legge ancora gli Harmony? Una che ancor prima della sigla di “Un posto al sole” ha già la bolla al naso e la palpebra a mezz’asta?”
“Vabbè, ma la gente questo non lo sa, quindi posso anche millantare un pochino”
“Contenta tu. Per curiosità, che nicneim ha questo fantomatico buio?”
“Qualcosa come bsbsndbsza”
“Eh?”
“Grbsdbszza”
“Non ho capito”
“Grandemazza”
“... Buhauhauahuah... GRANDEMAZZA? Andiamo bene, il festival della sincerità, eh?”
“Beh, ma mica ci esco per quello, io”
“Ma nooooooooooooooooooooo... non mi dire. E per cosa, allora?”
“Se proprio lo vuoi sapere, è un uomo romantico...”
“Grandemazza?”
“Solare e allegro...”
“Sempre Grandemazza?”
“... mi manda sempre poesie e rose virtuali”
“Nietnemeno. E dove vi vedrete?”
“Fuori dall’Esselunga di Viale Papiniano”
“Esageratamente romantico, in effetti”
“E’ perché almeno lì c’è gente e se non dovesse piacermi almeno ho la scusa che devo fare la spesa”
“Capisco. Quanti anni ha?”
“Dice che è sulla quarantina”
“Sulla? O ben oltre? Magari vicino alla cinquantina”
“Beh, ne ho già 44 anche io, non è che posso pretendere molto, eh?”
“Che lavoro fa?”
“Ma questo cos’è, un terzo grado?”
“Mi parli di un mezzo meraviglioso per trovare l’anima gemella, magari può interessarmi, no?”
“... uhm... mi pare che faccia l’avvocato”
“Ti pare o ne sei sicura?”
“Mi ha detto di aver a che fare con la legge”
“Certo. Anche i detenuti”
“Ti pare che sia un detenuto? Se ci incontriamo davanti al super vuol dire che non lo è”
“Magari è fuori per buona condotta oppure è agli arresti domiciliari”
“Sempre la solita pessimista”
“Realista, non pessimista”
“Sarà”
“Vi siete scambiati una foto?”
“Sì, io gli ho mandato quella che ho fatto a Ibiza, quella dove indosso il bikini giallo”
“Giulia, lì avevi venticinque anni!”
“Ti sembro molto cambiata?”
“No, ma va, figurati, non ti riconosce più nemmeno tua madre!”
“Sciocchezze”
“E lui? Ti ha mandato la foto?”
“Sì, ma si vede solo da dietro, a torso nudo”
“Vediamo?”
“Eccolo qui. Non è carino? Guarda il tatuaggio qui, sul collo...”
“Giulia...”
“Sì?”
“Questo tatuaggio lo conosco”
“Cos... che intendi dire?”
“Intendo dire che so chi è”
“Lo conosci? Cavoli, allora puoi dirmi se c’è da fidarsi o meno”
“Fidarsi? Beh, che ha a che fare con la legge è vero...”
“Visto? E tu subito a pensar male”
“Già. E’ il figlio del questore”
“Ma pensa! Ci ho quasi preso!”
“Ed ha 15 anni”
“...”
“...”
“Ti serve qualcosa al super?”

giovedì 22 novembre 2007

Natale? No problem.

Gentili amici, telespettatori, lettori, contorsionisti, nani e quant'altro, ovvero tutti voi che state cominciando a sudare freddo perché sentite sempre più avvicinarsi il fiato di Natale sul collo ( e speriamo non abbia fumato e bevuto, altrimenti sai che fiatella? ) rilassatevi!
In questo blog troverete il consiglio che avete sempre cercato e mai trovato, lo spunto per un regalo che lascia il segno ( sezione "guantoni da boxe" ), l'idea geniale per risolvere in un batter di ciglia l'annoso problema delle strenne natalizie, la mano tesa che vi accompagnerà verso il dirupo.
Ma, a proposito, sapete cosa sono le Strenne? Sono delle renne piccole! Infatti esistono anche le Mrenne, le Lrenne e le XLrenne. Questo sempre per soddisfare le vostre esigenze.
Da oggi potrete bullarvi con gli amici e fare a gara di sapientino con il vostro nipotino di 6 anni che vi batte sempre alle tabelline!

Ma ciancio alle bande, ovvero bando alle ciance, cominciamo con questa splendida carrellata di doni:

Per la collega d'ufficio che rompe i coglioni con l'ordine e la pulizia, lo strepitoso
Mini Aspirapolvere con attacco USB!
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Per la cugina zitella maniaca della precisione, che spacca il capello in quattro per ogni questione, che se trombasse di più farebbe felice l'umanità intera meno quello che se la tromba, l'originalissimo
Appendi Banane in Legno
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Per la simpatica nonnina che rompe i coglioni perché vuole che andiate sempre a fargli la spesa e vi fa una lista chilometrica di roba da comprare che poi nemmeno sapete dove parcheggiare il TIR, l'utilissima
Borsa Trolley per la spesa con sedia incorporata
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Per la vecchia zia suora che dopo aver passato anni a darla via al curato del paese ha raggiunto finalmente la pace dei sensi, gli imperdibili
Santini profumati da biancheria (utili anche come deodoranti per ascelle)
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Per il vostro cuginetto che ha appena imparato il significato della parola "lapilli", il decorativo
Vulcano Elettronico
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Per il nonno, attento cultore di te inglesi, che lascia sempre i filtrini a marcire sul piattino perché altrimenti se li strizza si ustiona le dita, la simpatica
Pinza strizza bustine di te
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Per i simpatici figli dei tuoi vicini di casa, che hai già cercato di eliminare prima facendoli cadere nella tromba dell'ascensore, poi svitandogli le rotelle dello skateboard, dei caldissimi
Berretti in Pile, in modo che almeno abbiano un'espressione da ebeti, che è quel che si meritano
http://shoptd01.dmail.it/prodotto.php?cod=0212-627- &np=1

Per lo zio appassionato di bricolage e con una leggera propensione alla schizofrenia, l'innovativo
Affilatore elettrico per catene da motosega
http://shoptd01.dmail.it/prodotto.php?cod=135829-1- 12&np=4

Per il vicino di ombrellone che ha rotto i coglioni tutta l'estate giocando a racchettoni, bocce, poker e briscola chiamata, il nuovissimo
FLINGO®, il nuovo Fantastico Gioco da Spiaggia!!! Novità dell'estate 2007
http://shoptd01.dmail.it/prodotto.php?cod=0192-739- &np=2

Bene, gentili amici, nemici, detrattori e ispettori del fisco, con oggi abbiamo terminato questa simpatica carrellata di regali ASSOLUTAMENTE INUTILI E NEFASTI per l'equilibrio psicofisico barra emotivo degli esseri umani.
Se proprio non avete assolutamente idea di cosa regalare a chi amate (e ho davvero dei seri dubbi sul fatto che li amiate DAVVERO), beh, non avete da fare altro che VISITARE questi link, compilare il modulo d'acquisto onlain e... AUGURI!


Piccolo inciso: se qualcuno può testimoniare con foto AUTENTICHE che il FLINGO esiste ed è stato il gioco da spiaggia più giocato nell'estate 2007 gli offro una cena alla Sangiovesa di Santarcangelo di Romagna!
Che cazz'è il FLINGO?
Quando mai s'è visto?
Chi l'ha inventato?
Non si sa!
E sapete perché?
Perché ci sarebbe solo da vergognarsi ad ammettere di aver inventato un siffatto gioco da spiaggia!!!

Chicca: andate a visitare la sezione adulti ( http://shoptd01.dmail.it/adulti.php ) e siate onesti quando dichiarate che avete più di 18 anni!
Smiley

Test: a Natale siamo tutti più buoni?

Tuo suocero ha 66 anni, l’ernia al disco, una leggera propensione alla pinguedine e l’alluce valgo, cosa gli regali?
a ) Quindici lezioni di monta western al Ranch Appaloosa di Borgo Saladino - RC.
b ) Un puzzle da 5000 pezzi. In vendita a fascicoli.
c ) Il libro “L’arte di essiccare i funghi applicata alla prevenzione dei duroni nell’anziano”.
d ) Niente, tanto tra poco muore...

Tua suocera è una via di mezzo tra Belzebù e la Fata Turchina che ha sbagliato candeggio: quale regalo pensi sia più appropriato?
a ) Una guida sul daltonismo.
b ) Un abbonamento alla rivista “Farsi i cazzi propri è possibile?”
c ) Un girocollo in pelle da bagnare abbondantemente prima di stendersi al sole.
d ) Niente, tanto tra poco muore...

Il tuo nipotino di 8 anni è una simpatica peste con l’argento vivo addosso e una vocetta che trapassa i timpani. Cosa regali a questa piccola polveriera umana?
a ) Il piccolo chimico, ovvero “come realizzare la bomba H nella propria cameretta senza creare disordine”
b ) Un trinciapollo.
c ) Una settimana di corso di sopravvivenza tenuto da Hannibal Lecter in una giungla del Borneo.
d ) La cassa che i maghi usano per segare in due le vallette, ma senza libretto di istruzioni.

Tuo cognato è il classico perdente frignone, sfigato, stempiato e col riporto, perennemente snobbato dalle donne, segaiolo incallito. Quale dono credi riuscirebbe a renderlo felice?
a ) La biografia di Gastone Paperone.
b ) Il libro “Come farsi saltare in aria usando il forno senza causare danni a terzi, riuscendo, nel contempo, a cuocere una torta”.
c ) Una bambola gonfiabile. Bucata.
d ) Nessuno, anche perché tanto tra poco muore...

Tua cognata ha dimenticato cosa significhi il contatto con la terra, la natura e la differenza tra essere e apparire. In parole povere è una donna arida. Cosa le regali per risvegliare il suo lato umano?
a ) Un appendibanane in legno.
b ) Una confezione di carta igienica - Sudoku, sperando che capisca il messaggio subliminale.
c ) Il libro di ricette “Single? Prenditi per la gola da sola perché nessun altro lo farà per te”.
d ) Il tuo nipotino di 8 anni con trinciapollo annesso.

Il tuo responsabile di reparto ti controlla costantemente tramite microcamera puntata costantemente sulla tua postazione di lavoro, verificando che tu non possa navigare in internet, requisendoti il cellulare in modo che tu non possa mandare SMS o fare telefonate private. Il dono più idoneo per addolcirlo un po’?
a ) Una crostata farcita di marmellata di arance, la sua preferita. Di ceramica, però...
b ) Un cartonato in misure reali di sua suocera con il fumetto che recita “Ricordati che Dio ti vede” da tenere in ufficio come portafortuna.
c ) Un posacenere a forma di water con lo slogan “ecco dove finiscono le tue idee di merda” allegato alla tua lettera di dimissioni immediate.
d ) Niente, tanto tra poco muore. Gli ho disabilitato i freni del SUV.

Maggioranza di risposte a: è proprio vero, il Natale rende tutti più buoni e tu ti prodighi affinché il Natale delle persone che ami possa passare in un’atmosfera di letizia e sentimenti gioiosi. Bada, però, che non tutti riescono ad apprezzare la tua sagace ironia e il tuo sottile sarcasmo, quindi ricordati di allegare ad ogni pacchetto regalo un bigliettino in cui spieghi perché, per esempio, a tuo cugino ex atleta e ormai su sedia a rotelle da anni, hai regalato un paio di Rollerblade.

Maggioranza di risposte b: il tuo gusto per il moderno e per il tecnologico ti fa optare per regali all’avanguardia e non badi a spese nell’acquistare il regalo più costoso nel negozio più in della città. Hai le mani bucate e un cuore generoso e non disdegni di comprare anche per te, per esempio, quel diamante che desideravi da tempo o una crociera intorno al mondo. Fai solo in modo che tuo padre non scopra che la carta American Express Platino gliel’hai ciulata tu.

Maggioranza di risposte c: tenera, delicata, soave. Questo è quello che traspare dal tuo profilo. Peccato che poi, guardandoti di fronte, ci si trovi davanti ad un incrocio tra un’arpia e la strega Bacheca. A te il Natale fa male, dovresti rinchiuderti in un eremo e poi buttar via la chiave. Ecco il regalo più bello da fare a chi ami, sempre che tu abbia qualcuno che ami. In caso contrario, è inutile che tu faccia acquisti, questo Natale...

Maggioranza di risposte d: se i tuoi migliori amici sono gli abitanti di casa Addams è presto spiegato il motivo di tanto pessimismo. Fatti dare una mano... ehm... e vedrai che se la vita ti sorride non significa che debba per forza avere una paresi. Enjoy!

mercoledì 7 novembre 2007

oh-oh-oh... Buon Natale!

“Oh-oh-oh… A chi tocca ora?”
“A me”
“Bene, piccino, salta sulle mie ginocchia”
“E’ proprio necessario?”
“Ehm… veramente no, ma diciamo che mi è imposto dal… ruolo. Sono o non sono Babbo Natale?”
“Cominciamo bene, un Babbo Natale in crisi d’identità…”
“Piccino, non essere irriverente. Preferisci stare in piedi? Per me è lo stesso”
“Vabbè, giacché siam qui facciamolo”
“Ooooooh, ecco. Allora, ometto, cosa desideri per Natale?”
“Senta, è proprio necessario usare termini come “ometto”, “piccino” e simili? Mi infastidiscono”
“Allora come dovrei chiamarti? Dottore, forse?”
“In effetti la mia laurea in fisica applicata alle particelle potrebbe darmene il diritto…”
“Laurea? Ma sei un nano o un bambino? Quanti anni hai?”
“Otto”
“E sei già laureato?”
“Mai sentito parlare di “piccolo genio”? Eccomi”
“Cavoli… non avrei mai pensato di conoscerne uno dal vivo”
“Sì, ma adesso non facciamolo diventare un evento eccezionale. Sono pur sempre un bambino”
“Scusa, “Dottore”… allora, cosa vuoi che ti porti Babbo Natale?”
“Mi sta prendendo in giro?”
“In che senso?”
“Secondo lei un dottore in fisica crede ancora a Babbo Natale?”
“Per me può credere anche alla fatina dei dentini e comunque se non ci credi perché sei sulle mie ginocchia?”
“Perché lei mi ha detto di salirci”
“Intendo dire… quando un bambino va da Babbo Natale è logico supporre che sia perché ha delle richieste da fargli...”
“Non parli a me di logica, io nemmeno ci volevo venire qui. Lo faccio solo per far contento mio padre”
“In che senso?”
“Crede che sia troppo “adulto” rispetto alla mia età e spera, in questo modo, di farmi vivere quell’epoca spensierata che, secondo lui, è alla base dell’ottimale sviluppo emotivo-psicologico di un bambino”
“Beh, lo credo anche io. Almeno, di solito è così, per gli altri bambini…”
“Di solito. Peccato che io abbia già pubblicato un libro sulle particelle intitolato “I leptoni: utili o dannosi alla riproduzione per scissione?” e un trattato che insinua dubbi sulla validità della teoria della relatività Einsteiniana”
“Arabo. Per me tutto questo è arabo”
“In arabo usano delle terminologie diverse e hanno un sistema di computo matematico che si avvicina molto al sistema utilizzato nell’antico Egitto che presuppone l’utilizzo dei numeri come veicolo per…”
“Scusa, ma non eravamo qui per le tue richieste natalizie?”
“Ribadisco che io ne avrei fatto a meno”
“Perché, non desideri nulla per Natale?”
“Con gli introiti derivati dalle royalties sui libri, le entrate relative al cachet di partecipazione alle varie trasmissioni televisive scientifiche in qualità di opinionista, posso permettermi tutto quello che desidero”
“E pensare che al mondo ci sono ancora bambini che muoiono di fame”
“Questo perché l’economia mondiale è in mano ad un branco di decerebrati, incapaci del minimo ragionamento pragmatico e della necessaria coesione d’intenti volta ad uno sviluppo più umano e utilitaristico delle risorse”
“Senti, bambino, tu mi fai paura…”
“Perché?”
“Hai otto anni e parli come uno di ottantacinque”
“Errato. Un ottantacinquenne avrebbe la voce più roca e di un’ottava più bassa, questo perché con il passare degli anni le corde vocali prolassano, perdendo di elasticità e divenendo così…”
“Ascolta, nano, adesso hai rotto: o mi fai una richiesta relativa al Natale oppure te ne vai. Che diamine, hai otto anni e sei già laureato, parli come se avessi mangiato uno Zingarelli imbottito di Devoto-Oli, sei pratico di fisica, di anatomia, di economia mondiale e di chissà di quali altri argomenti. Insomma, mi sento una merda, al tuo cospetto. Che diamine! Ho 49 anni, ho il diploma di geometra e sono iscritto ad un’agenzia interinale che mi fa lavorare ogni tre mesi in posti diversi e con mansioni diverse. Sono divorziato, ho due figli, il mio stipendio medio si aggira intorno ai 600 euro al mese, quando va bene, vivo in una roulotte parcheggiata nel giardino del condominio di mia madre e tu, piccolo smorfioso boriosetto, alla tua età puoi già permetterti il lusso di non avere più desideri da soddisfare?”
“In realtà uno ce l’avrei…”
“ … Davvero?”
“Sì”
“Non ci credo”
“Giuro”
“Lo dici solo per farmi contento”
“Assolutamente no”
“Giura”
“Croce sul cuore”
“E quale sarebbe?”
“Posso contare sulla sua discrezione?”
“Certo che sì”
“Sono disposto anche a pagare”
“Ci si può mettere d’accordo”
“Non sia esoso, però…”
“Promesso”
“Voglio una donna”
“… eh?”
“Voglio una donna”
“ … alla tua età?”
“Perché, che c’è che non va?”
“Ma dai, bambino… è impossibile… insomma…”
“Impossibile? Perché?”
“Ma dai, su. Hai otto anni, no? Insomma, non sei in grado di… “
“Di?”
“Ma sì, dai, che hai capito”
“Cosa?”
“Mi stai prendendo in giro, vero? Ok, abbiamo scherzato. Cosa desideri REALMENTE?”
“L’ho detto: una donna”
“Una donna”
“Già”
“E’ la tua richiesta”
“Uh-uh”
“Ma che ci devi fare con una donna?”
“L’amore”
“Uah uah uah uah uah… ok, dai, abbiamo riso, ci siamo divertiti…”
“Non ci trovo niente di divertente”
“Ma suvvia, non puoi avere una donna per… sei troppo piccolo!”
“Chi lo dice?”
“Come chi lo dice? La biochimica lo dice”
“Che ne sa lei di biochimica? Mi ha fatto una testa tanto dicendo che è un povero ignorante col diploma da geometra e poi mi parla di biochimica?”
“Ascolta, non ci vuole una laurea per sapere queste cose… sono stato bambino anche io”
“E questo che significa?”
“Che ho avuto otto anni anche io”
“E’ fisiologico. Dunque?”
“Dunque ad otto anni non si può… fare all’amore”
“Ma lei non è me”
“Cosa vorresti dire?”
“Che non siamo tutti uguali”
“… credo di non capire. Vorresti forse dirmi che…”
“Sono stufo dell’amore solitario”
“Eh? Co… co… cosa?”
“Ma sì, dai… siamo uomini, queste cose possiamo dircele”
“No, aspetta… vorresti dirmi che…”
“Eddai, anche tu ogni tanto… non mi dire che non ne senti l’esigenza!”
“Beh, certo che sì, ma…”
“Allora puoi capirmi”
“Senti, mi stai prendendo in giro, vero?”
“No”
“Cioè, a te il… cosino… già funziona?”
“Sono anni, ormai”
“Anni? Ma tu sei un mostro!”
“Precoce, prego. Precoce in tutto”
“Tu non sei vero”
“Vero come il fatto che sono sulle tue ginocchia”
“Confessa, sei un nano”
“Assolutamente no, ho otto anni, cinque mesi, dodici giorni e qualche ora”
“E vuoi una donna”
“Assolutamente sì. Ho provato a parlarne con mio padre ma anche lui ha avuto la tua stessa reazione”
“Di incredulità?”
“No, ha riso”
“Capisco”
“E’ frustrante”
“Capisco”
“Allora?”
“Allora che?”
“Mi aiuta?”
“Dipende”
“Da cosa?”
“Mi aiuti a trovare un lavoro?”
“Ci puoi scommettere”
“Una casa?”
“Consideralo già fatto”
“Una macchina?”
“berlina, pluriaccessoriata, ultimo modello”
“Non dovrò più fare Babbo Natale al supermercato?”
“Promesso”
“Affare fatto”
“Quando me la trovi?”
“Stasera stessa”
“La sera non posso uscire”
“Domattina”
“Al mattino sono in università”
“Domani a pranzo”
“Meeting con i dirigenti del CERN di Ginevra”
“Nel pomeriggio?”
“Tengo una conferenza su “Il Big Bang è davvero esistito?” all’Istituto di Scienze Astronomiche”
“Aperitivo?”
“Perfetto”
“Ci si vede al Cocoon Bar”
“Ok. Mi riconoscerai dal garofano rosso infilato nel bavero del gessato”
“Nano… ti riconoscerei anche nudo”
“Giusto”
“A domani. E non dimenticare i preservativi”
“Ehm… non so dove comprarli”
“In farmacia, no?”
“Intendo… della mia misura”
“Accidenti, non ci avevo pensato… sei piccolino, in effetti”
“No, mica per quello: non li trovo della MIA misura”
“No, senti, questa non la bevo”
“Giuro!”
“Ma dai!!!”
“Te lo assicuro!”
“Vorresti farmi credere che lì sotto hai…”
“Una belva, sì”
“No, dai… anche questa no!”
“Purtroppo sì”
“Scherzi”
“Ti dico di no”
“Senti un po’… che tu sia un genio mi sta bene. Che tu sia ricco anche. Che sia già attivo sessualmente da anni faccio fatica ma lo accetto. Ma che la natura con te sia stata anche così generosa… beh, questa mi pare proprio una sonora presa per il culo! Ma cos’ho io che non va? Perché tutto a te e a me niente?”
“Non lo so. Fortuna, forse?”
“Ma con cosa ti hanno cresciuto, omogeneizzati alla diossina? Ti hanno esposto alla kriptonite? Sei il figlio segreto di Thor?”
“Niente di tutto questo”
“Ehm… scusate…”
“Eh? Ah, sì, dimmi, bambina”
“E’ mezz’ora che aspetto il mio turno e non ho potuto fare a meno di ascoltare. Se riusciste a definire in fretta la questione vorrei poter esporre le mie richieste, perché alle 11,30 ho un appuntamento per un colloquio di lavoro presso l’ospedale San Bartolomeo. Cercano uno specialista in microchirurgia applicata e non vorrei perdere quest’occasione. Inoltre, se posso permettermi, per quanto riguarda il problema di elefantismo del bambino che ha sulle ginocchia suggerirei di vederci domani nel tardo pomeriggio nel mio ambulatorio per definire… alcuni particolari che trovo… estremamente interessanti, direi”
“La cosa mi stuzzica…”
“Ehi, bambino, dove vai… non dimenticarti del nostro accordo!”
“Quale accordo?”
“Il lavoro, la casa, la macchina e tutto il resto”
“Ah, quello? Credo di non averne più bisogno…”
“Come… ehi, no! Non si fa così, dove andate?”
“Ci pensiamo da soli, non si preoccupi”
“No, un momento, aspettate!”
“… signol Babbo Natale…”
“Chi è? Chi sei? Che cazzo vuoi, tu adesso?”
“… BHUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH…”

martedì 23 ottobre 2007

Gentile Levi, nè primo ne ultimo, ma molto Franco...

Mi è giunta voce, da parte di un BLOG (ommioddio, un blog? Di chI? Voglio nome e cognome) che lei e Prodi (e mai cognome è stato meno consono) una sera, a cena, non avendo niente di meglio da fare, abbiate avuto la brillante idea di porre un limite alla libertà di parola del popolo italiano.
Ora, considerato che l'Italia è una nazione fondata sul lavoro, democratica, e come tale fautrice della libertà di parola, io mi domando e Le domando: che cazzo avevate bevuto quella sera? Forse che le bollicine dello "sciampagn" vi hanno sfrucugliato i neuroni, se ne avete? Forse che la cena a base di abbacchio, coda alla vaccinara, trionfo di patate in crosta, tiramisù, pesche sciroppate, caffè, ammazzacaffè, macedonia con gelato, pagata con i soldi dei contribuenti, ovvero la stessa gente che dopo avervi sfamato vorrebbero anche avere il diritto di dire la loro, vi sia rimasta leggermente pesante e abbia dato adito a vaneggiamenti da album di fumetti di fantascienza?
Ma dico io, scherziamo?
Che accidenti significa che per aprire un blog devo avere alle spalle una casa editrice e come direttore un giornalista professionista?
Fino al primo punto ancora ancora ci arrivo, abito dietro alla Rizzoli, quindi una casa editrice alle spalle cellho, ma... un giornalista PROFESSIONISTA? Io sono la professionista di me stessa, caro Lei!
Sono io che decido cosa voglio dire e in che forma voglio dirla.
Non le sta bene? Problema suo. Si faccia un bell'esame di coscienza e cerchi di capire da solo cosa la distrurba.
Nel caso domandi, sarò ben lieta di spiegarglielo.
Ora, tornando a toni più blandi, mi dica... ma in Italia c'è davvero bisogno di pensare ai blog? Di trovare il modo di spillar quattrini anche dalle parole virtuali e dagli sfoghi personali che non hanno altro luogo che il web, per esprimersi? Non abbiamo forse cose più importanti a cui pensare?
Che ne so, me ne vengono in mente alcune, ma sono bazzecole, al confronto:
- la mafia
- la camorra
- la pedofilia
- la violenza sulle donne
- la gente che vive ancora nei container a 20 anni dal terremoto
- la gente che vive con una pensione da fame
- le strutture ospedaliere fatiscenti
- gli omicidi nei tribunali
- le forze dell'ordine bistrattate
- le auto blu superaccessoriate e, per contro, la mancanza di scorta armata per chi denuncia i mafiosi
- l'educazione scolastica con professori indegni e incapaci persino di parlare in italiano corretto
- il razzismo
- l'intolleranza religiosa
- l'aumento indiscriminato dei prezzi degli alimenti di base
- il carobenzina
- l'incapacità di trovare forme alternative di energia quando, invece, già esistono ma non sono "proficue"
- dipendenti pubblici fancazzisti con stipendi troppo alti rispetto alle reali capacità e professionalità.

E questo solo per citarne alcuni.
Ma mi rendo conto che lei è troppo impegnato nella sua crociata contro i Blog della povera gente per pensare di applicarsi con proficuo sforzo su altri argomenti.
Come dice?
Non le competono?
Cavoli, sa che ha ragione?
Invece, mi dica, quanto le compete il discorso Internet?
Ce l'ha, lei, un blog? O glielo scrive qualcun altro?
C'è qualcuno che le dice cosa deve dire e cosa deve fare o è una persona libera, consapevole, nel pieno possesso delle proprie facoltà di libero arbitrio?
No, perché se così non fosse allora ha ragione lei.
Ha ragione quando le si strizza il bucodelculo al pensiero che qualcun altro più libero di lei possa permettersi di dire la propria senza che nessuno gli tappi la bocca.
Invece, diamine, che bello poter censurare il pensiero diverso da suo, vero?
Molto democratico, direi.
Allora Orwell, quando ha scritto 1984, non diceva poi tante cazzate...
Facciamo una bella cosa, Signor Levi Franco... faccia finta di niente, si dia malato, impari a scrivere e si crei un blog in cui dice che è tutta una montatura, che lei non c'entra, che se fosse per lei tutti dovrebbero avere un blog, che ha sempre sostenuto Beppe Grillo, che la gente che si lamenta fa bene perché bisogna rifare un'Italia nuova che abbia più rispetto per il pensiero dell'uomo comune.
Non è difficile. Ci vuole provare?
Suvvia, vada alla camera, al parlamento, si faccia una bella risata e dica che ha scherzato, che voleva vedere se se la sarebbero bevuta una baggianata simile.
Perché è una baggianata, lo sa anche lei, vero?
Suvvia, faccia il bravo... lo dica che è tutto uno scherzo.
Io continuerò a scrivere sul mio blog, sa?
E non le dico cosa scriverò, vediamo se anche il mio blog di racconti le fa così paura...
Bubusettete!
Gloria