lunedì 8 dicembre 2008

Ed ecco ora il racconto...

... giudicato "meritevole" di pubblicazione sull'antologia del Concorso "Oltre i resti" 2008 di Napoli!!!


Tre eravamo, tre siamo rimasti

La notte dicembrina profumava di smog e nebbia, anche se quest'ultima si stava diradando lasciando spazio ad un cielo trapunto di stelle. Sotto un lampione, due motociclisti un po' attempati stavano aspettando l'amico, irrimediabilmente in ritardo.
“Non capisco perché, pur mettendoci tutta la buona volontà, non riusciamo MAI ad arrivare in ritardo più di lui. Ci lasciasse almeno le chiavi di casa per aspettarlo al caldo!” sbuffò Baldo, lanciando lontano il mozzicone ancora incandescente.
Il Melchi fece spallucce: “Ti dirò, a me quest'aria pungente non dispiace. Può anche darsi che sia dovuto al fatto che mi sono fatto un paio di Vodka alla pera, però non mi dispiace affatto. E comunque è inutile arrabbiarsi. Da quanto lo conosciamo? Riesci a ricordare una sola volta in cui sia arrivato in anticipo?” chiese fissandolo negli occhi con aria divertita.
“Oh, sì! – esclamò quasi godendo il Baldo – Quando ha messo incinta la Susy! Un fulgido esempio di eiuaculatio precox”. Risero entrambi.
Si erano conosciuti ad un motoraduno e non si erano più lasciati: Gas era l'orgoglioso proprietario di una Harley-Davidson del 1980, il Melchi aveva una Moto Guzzi modello Falcone Turismo del 1952, tenuta talmente bene da sembrare una copia, mentre il Baldo si accontentava di una Triumph Legend tt900 del 1999.
Il Melchi stava ancora asciugandosi una lacrima all'occhio destro quando si udì l'inconfondibile rombo dell'Harley.
“Allora, siete pronte, vecchie baldracche?” esclamò Gas accompagnando la frase con una sgasata.
“Ringrazia che siamo ancora qui, pirla, – fu l'amichevole saluto del Baldo – e che non ci trovi trasformati in statue di ghiaccio”. La battuta fu accompagnata da una sonora pacca sulla spalla, che venne attutita dalla spessa tuta in pelle nera.
Gas tolse il casco e salutò i due con un gestaccio: “Ho tardato perché mi sono fermato a prendere la birra. Sono arrivato mentre la serranda del super stava calando inesorabilmente e ho dovuto implorare la cassiera di farmi entrare, promettendole che l'avrei invitata fuori per un caffè. Trattasi di essere umano solo vagamente somigliante ad una donna, quindi dovreste premiarmi per il sacrificio...”.
Baldo indossò il casco e inforcò la moto, seguito dal Melchi che si affiancò agli altri due: visti da lontano potevano sembrare una versione moderna di Arancia Meccanica, se non fosse che erano vestiti di nero, erano motorizzati, bevevano birra e via discorrendo.
La classica “zingarata” di Natale, da effettuarsi tassativamente la notte del 24 dicembre, aveva un unico scopo: muoversi rombando da un capo all'altro della città, arrivare in cima alla collina che dominava il panorama di Roma, brindare con dell'ottima birra d'annata e scambiarsi i regali. Niente di più e niente di meno.
Partirono quasi all'unisono e si infilarono nel dedalo di vie e piazze semi deserte della città eterna; sopra di loro un cielo terso e stelle a perdita d'occhio. Baldo capeggiava il trio di centauri, disegnando geroglifici con il copertone della sua Triumph e salutando con un colpo di clacson la città che si stavano lasciando alle spalle. La campagna li aveva appena accolti fra le sue braccia, quando la moto di Baldo cominciò a singhiozzare fino a fermarsi. Venne immediatamente affiancato dagli altri due. Quando spensero i motori il buio li avvolse in un abbraccio silenzioso.
“Che succede?” chiese il Melchi accosciandosi di fianco alla Triumph e smanettando tra pistoni e ammortizzatori.
“Non capisco. L'ho appena fatta revisionare, è perfetta. Non vorrei fosse un problema di carburatore” rimbeccò Baldo. Gas guardò i due trafficare a tentoni ed esclamò: “La prossima volta arrabbiatevi ancora perché sono in ritardo. Almeno la mia funziona!”
“Ma per favore! Se si fosse trattato della tua a quest'ora staresti frignando come un bambino! Piuttosto vedi di...” Gas fece imperiosamente cenno di tacere e drizzò le orecchie: “Sentite anche voi questo rumore? Sembra un lamento...” Stettero un po' in ascolto finché udirono distintamente una voce di donna. Il fanale della Guzzi illuminava a stento la strada ma ciò bastò per riuscire a scorgere, poco lontano, la sagoma scura di un'auto con uno sportello spalancato.
“Che si fa?” chiese Gas.
“Io vado a vedere” dichiarò il Melchi, seguito immediatamente dagli altri due.
La macchina era una vecchia Mercedes così trascurata che sembrava impossibile potesse ancora muoversi. La fioca luce all'interno dell'auto illuminava la scena: un uomo chino su una donna a gambe spalancate.
“Cazzo, questa donna sta partorendo!” Esclamò Gas.
La risposta di Baldo non si fece attendere: “E tu dovresti saperne qualcosa, vero?”
L'uomo nella macchina si accorse di loro e si aggrappò con disperazione alla manica del Melchi: “Signore, per favore, signore... la mia molie sta avendo mio figlio. Aiuta me, Signori”
Lo sguardo che i tre si scambiarono aveva un unico significato, ma fu Gas a dare voce alla domanda: “Che si fa?”
Quando la donna lanciò quell'urlo animalesco, quasi per miracolo seppero tutti cosa fare: Melchi corse alla sua moto, aprì le tasche laterali e ne svuotò il contenuto in cerca di acqua, disinfettante e salviettine umidificate; Gas fece altrettanto con le due borse di pelle a frange dell'Harley, mentre Baldo fece scattare la chiusura del bauletto e ne tolse un pacco regalo che cominciò a scartare con veemenza. Si ritrovarono tutti e tre davanti allo sportello spalancato mentre la donna soffiava e urlava nel tentativo di dare alla luce quella creatura così incosciente da scegliere il freddo ciglio di una strada deserta per nascere.
“Sollevale la testa e aiutala a respirare” ordinò Baldo al marito della donna, che stava immobile a guardare la scena. “Muoviti!!” ringhiò, e in quella l'uomo si scosse ed aprì la portiera dall'altro lato, sollevando la donna per le ascelle. Lei sbuffò e gridò ancora, se possibile con più enfasi di prima.
Gas, seduto sul sedile passeggero, prese la mano della donna fra le sue: era gelata. “Respira, respira! Brava, così, forza... ce l'hai quasi fatta”
“Vedo la testa! Oddio, vedo la testa, vedo la testa!” gridò il Melchi.
“Cerca di non svenire come una donnicciola” esclamò Baldo.
“Facile per te che stai lì a fare un cazzo, vero?” rimbeccò il Melchi.
La donna cacciò un ultimo, tremendo urlo e con un istintivo movimento pelvico spinse così forte che il bambino venne praticamente lanciato fuori. Baldo, a sua volta, fu così pronto da prendere il bambino al volo e avvolgerlo in uno splendido maglione di cachemire arancione.
La donna si lasciò andare sul sedile, distrutta; il marito si mise a piangere e a ridere contemporaneamente. Il bambino, come da copione, vagì.
Sembrava la scena di un film balcanico.
Mancava solo una musica tzigana in sottofondo.
Baldo adagiò con tenerezza il bambino sul petto della donna che sollevò la testa e lo ringraziò con lo sguardo.
Gas continuava a tenere la mano della donna fra le sue, cercando di nascondere il lacrimone che gli scivolava silenziosamente sulla guancia.
Il Melchi fu l'unico a rompere la magia di quel momento: “Mi ci vuole una birra”, esclamò, e si diresse verso la moto di Gas.
La notte trovò tutti concordi nel fatto che l'alcool era un ottimo coadiuvante contro il freddo.
“Devo purtroppo confessarti che quel maglione sarebbe dovuto diventare tuo, Melchi” esclamò Baldo dopo aver schioccato la lingua in segno di approvazione.
Melchi guardò Baldo, poi il bambino: “Sai una cosa? A me sembra che a lui doni molto di più”.
Gas riuscì finalmente a lasciare la mano della donna, vuoi anche per il fatto che lei continuava a strattonare per riaverla indietro. Uscì dall'auto e si avvicinò allo straniero: “Senti, se non ti offendi... questi sono per voi”, disse allungandogli un paio di banconote da cento euro. L'uomo chinò la testa più volte, alzando le mani giunte al viso.
“E adesso portala in ospedale, svelto”, consigliò.
I tre uomini, in piedi vicino alle moto, seguirono l'auto con lo sguardo finché non scomparve nel buio. Baldo girò la chiave nel quadro della sua Triumph che miracolosamente si mise in moto.
“Che si fa?” chiese Gas.
“Dillo un'altra volta e ti stendo” rispose il Melchi a muso duro mostrando un pugno, ma si vedeva che stava sorridendo.
Baldo si guardò attorno, poi domandò: “Ma le lucciole non dovrebbero essere animali estivi?”
Il ciglio della strada brulicava di puntini luminosi. Si concentrarono per un attimo in un unico punto, si alzarono verso il cielo e si mossero in blocco in direzione della città.
Sembravano la coda di una stella cometa.

venerdì 21 novembre 2008

La classe non è acqua

“Sbrigati, tesoro, o faremo tardi alla premiazione”
“Ma sei proprio sicuro che sia lì dove ti hanno detto?”
“Certo che sì. Mi hanno mandato una mail riepilogativa, mi hanno chiamato e confermato tutto persino con un telegramma”
“Eppure a me suona così strano...”
“Perché? Non hai letto? Guarda: “la signoria vostra è invitata alla serata di gala che si terrà in occasione della XIII Sagra del Cavolo Verza, durante la quale verrà premiato per il racconto vincitore della 1° edizione del Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “Montalto Dora”
“Ma da quando in qua si premia qualcuno durante la sagra del Cavolo Verza, scusa?”
“Non lo so, ma io il premio l'ho vinto e vado a ritirarlo”
“E se fosse tutta una presa in giro?”
“Ma perché, scusa?”
“Ma dai! Magari è uno scherzo organizzato da quei tuoi amici deficienti con cui vi divertite a farvi sempre gli scherzi”
“Di chi parli? Del Gianlu, del Gianfri e del Giangi?”
“Ecco, già il fatto che degli uomini vicini alla cinquantina, con annessa pinguedine e riporto brillantinato, si chiamino ancora con dei diminutivi così idioti dovrebbe farti riflettere...”
“E' che tu non hai fiducia in me, nelle mie capacità”
“Beh, considerato che l'ultima volta che siete usciti sei ritornato a casa indossando dei vestiti che non erano i tuoi, con un perizoma leopardato in testa a mo' di benda ed eri completamente depilato, forse qualche dubbio sulle tue capacità intellettuali potrò averlo, no?”
“Ah, sì! Che spasso quella volta!”
“Spassoso anche il fatto che il “Gianfri” sia stato ricoverato d'urgenza per infarto al miocardio dovuto ad un eccesso di risa?”
“Eh, quella volta lì c'è mancato poco che non morisse dalle risate”
“Beh, comunque io continuo a non essere convinta di questa cosa”
“Ma perché? Se fosse stata la sagra della Pesca Nettarina sarebbe stato meglio? Ti saresti fidata?”
“Avrei avuto dei dubbi lo stesso ma quasi sicuramente meno”
“Insomma, spiegami che cos'hai contro il cavolo verza”
“Ma niente... cioè... dai, puzza!”
“E tu mettiti il profumo”
“Come se bastasse! Ma se sei tu che quando cucino il cavolfiore ti aggiri per casa con una molletta fissata sul naso per non sentirne l'odore!”
“Per una sera farò buon viso a cattivo gioco”
“Se lo fai per una sera sappi che dovrai farlo anche per il resto della tua vita”
“Quanto la fai lunga... comunque vedrai che non ci sarà puzza. Vuoi che durante una serata di gala si possa stare in una stanza che puzza di cavolo verza?”
“Beh, quella volta che hai vinto il maialino da latte durante la sagra del Cicciolo, abbiamo cenato praticamente in una stalla...”
“Sei sempre pronta a lamentarti. Cos'hai mai vinto tu? Eh? Cosa? Eh?”
“... Ma secondo te, devo mettere il vestito da sera o è meglio un tailleur poco impegnativo?”
“E' una serata di gala, metti il vestito lungo da sera”
“Quello con le paillettes?”
“Quello con le paillettes”
“Spero solo che la cena non sia composta solo ed esclusivamente di piatti a base di cavolo verza”
“Perché?”
“Come perché? Il cavolo verza fermenta e produce... insomma, dai... fastidiosi movimenti intestini!”
“Sei la solita fissata”
“Fissata? Ti sei forse dimenticato quella volta, al matrimonio new-age di mia cugina, dopo aver mangiato il tofu ai borlotti, in che modo gli hai fatto gli auguri? Hai intonato “Perchè è una brava ragazza” a suon di scoregge!!”
“Eh eh eh eh ... Quella volta ho davvero superato me stesso. Mi hanno fatto la ola persino i camerieri del ristorante...”
“Promettimi che stavolta ti conterrai”
“Non posso promettertelo. Se l'ambiente è favorevole potrebbe anche ricapitare”
“Ricordati che sei lì per essere premiato! Durante una serata di gala!”
“Sì, ma pur sempre nell'ambito della Sagra del cavolo verza! Se la cosa fosse stata più, come dire, snob, probabilmente avrebbero fatto la premiazione durante la consegna dei nobel per la fisica o per la pace! Invece saremo alla sagra del cavolo verza e si sa, quando la verza chiama...”
“Oreste, te lo dico chiaro e tondo: fammi fare un'altra figuraccia e io ti lascio”
“Ma se tuo padre non faceva altro che ripetere “Tromba di culo, sanità di corpo”! Cosa vuoi che sia? E' pur sempre una cosa naturale. Scommetto che scoreggia persino il Papa”
“Cosa mi tocca sentire... Meriteresti una scomunica”
“Beh, se dovesse accadere, spero me la diano in occasione della sagra del Raperonzolo, almeno”
“Sì, figurati se esiste una sagra simile!”
“Certo che sì, mia bella ignorantona... dalle parti di Forlì-Cesena”
“Sarà. Ma almeno, si può sapere per cosa ti premiano?”
“Te l'ho detto, ho scritto un racconto”
“Tu? E da quando in qua sai scrivere?”
“Dalla terza elementare”
“Intendevo dire... scrivere racconti! Mica ci si improvvisa così da un giorno all'altro!”
“Beh, mi sono fatto ispirare dal bando di concorso. Ho scritto la storia di un cavolo verza che viene abbandonato in autostrada dai suoi padroni perché dovevano andare in ferie e non potevano portarlo con loro...”
“Omamma! Perché, povera bestiola?”
“Perché puzza”
“Ma allora vedi che ho ragione??? Lo dici pure nel tuo racconto che puzza!”
“Ma nel mio racconto si parla per metafore”
“Cos'è che sono?”
“Le metafore? Non lo so, l'ho visto scritto da qualche parte e l'ho usato. Mi piace il suono che fa... metafore... metafore”
“Forse sono parenti delle meteore”
“Ah, probabilissimo”
“Beh, e cosa succede a questo povero cavolo verza abbandonato?”
“Niente, in pratica viene raccolto da un malvivente che spaccia caramelle all'assenzio fuori dagli uffici postali di Casalpusterlengo e che lo piazza a fare il palo durante una rapina alla Cassa Rurale ed Artigiana di Calolziocorte. Solo che il cavolo verza quella volta lì si distrae perché vede passare un cavolino di bruxelles di cui si innamora follemente. Peccato che il cavolino di bruxelles è la fidanzata segreta del questore di Brindisi, che era in trasferta a Casalpusterlengo, in visita al suocero malato di gotta. Il cavolo verza, preso dalla disperazione, tenta il suicidio gettandosi sotto un TIR di provenienza ucraina alla cui guida c'è un camionista turco affetto da onicofagia che, in un momento di distrazione, gira a sinistra invece che a destra imboccando, quindi, la strada opposta a quella presa dal cavolo verza, salvandogli la vita ma solo per 10 secondi, perché il cavolo verza, visto il repentino cambiamento di rotta del Tir, torna sui suoi passi ma viene investito dall'auto che aveva lasciato accesa fuori dalla banca che il malvivente stava rapinando e a cui avrebbe dovuto fare da palo. I proprietari del cavolo verza, il giorno dopo, leggono sul Corriere della Val Trompia la notizia della fine infausta del loro povero cavolo verza e, presi dal rimorso che attanaglia le loro viscere, fondano un'associazione di amanti della bagna cauda, intitolandola a lui”
“Sniff... sob... ma com'è bello, Oreste! Sembra un po' quel film, com'è che si chiama? Via col vento”
“Eh, in effetti, dai... un po' ho preso spunto, eh?”
“Scusa, sai, se ti ho offeso, prima. Non potevo sapere che avevo un marito così bravo e acculturato. A me è sempre sembrato che non sapessi scrivere. Quando compili i vaglia per l'abbonamento a “Camionista felice” leggo sempre di quelle castronerie! Ma il tuo racconto è davvero bello, bello, bello”
“Grazie Giusy. Adesso però finisci di prepararti che non voglio arrivare tardi”
“Son proprio contenta, guarda. Anzi, secondo me non potevano premiarti da nessun altra parte che a quella sagra lì. Un racconto così pieno di sensibilità... meglio che non ci ripenso, sennò mi cola il trucco”
“Beh, oddio... magari un piccolo sforzo potevano anche farlo, gli organizzatori. Potevano chiamare quello là, quel regista famoso... Spilberg e vendergli i diritti per un film”
“E vabbè, dai. Durante il discorso di premiazione glielo butti lì come suggerimento”
“Brava Giusy! E voglio Cluni nella parte del cavolo verza”
“Cluni!!! Omamma se è bello quell'uomo lì!”
“E voglio il film in cinemascope e voglio la colonna sonora suonata dai Bitols”
“Ma Oreste! Mi sa che i Bitols sono morti!”
“Sei sicura?”
“Sicurissima”
“A me sembrava che Pol Mecarti fosse ancora vivo...”
“Ma no, ti stai confondendo. Senti, cosa usiamo per andare alla premiazione? L'Ape o il furgone?”
“Giusy!! Ma ci dobbiamo far compatire? Andiamo col furgone, no? L'Ape! Ma ti pare che andiamo con l'Ape? Metti che dobbiamo portare a casa un premio, dove lo mettiamo? Davanti assieme a noi non ci sta, lo dovremmo mettere nel cassone e se poi si rovina? Invece sul furgone c'è abbastanza spazio, no?”
“Hai ragione! Hai sempre ragione, tu. Senti, visto che tanto si mangerà gratis, se porto un po' di contenitori? Così portiamo a casa qualcosina per domani, no?”
“Ah, adesso che puoi sbafare gratis, ti va bene anche il cavolo verza?”
“Lo facevo per te, che sei delicato di naso. A me piace il cavolfiore, figurati se non mi piace il cavolo”
“Va bene. Ma portane pochi che non voglio che succeda come l'ultima volta, alla riunione di condominio a casa del ragionier Bellati, che ti sei portata dietro il carrello della spesa e ti si è rovesciato mentre attraversavamo il cortile, che sua moglie, gentilissima, ti ha anche aiutato a rimettere tutto nel dentro...”
“Ma dai, Oreste! Per chi mi hai preso? Andiamo ad una serata di gala, ne porto solo due o tre”
“Brava Giusy. E ricordati che non è carino pulirsi i denti con lo stuzzicadenti. Almeno usa il tovagliolo”
“Ma io non ci riesco a pulirmi i denti col tovagliolo!”
“Ma no! Metti il tovagliolo davanti alla bocca se usi lo stecchino!”
“Ah. Ecco. Parla chiaro, no?”
“Uff... sei pronta?”
“Sì”
“Possiamo andare?”
“Sì”
“Hai chiuso il gas?”
“Sì”
“Hai dato da mangiare alle galline?”
“Sì”
“E al maiale?”
“Uh! Mi son dimenticata”
“Vabbé, tanto fino a domani non muore. Anche perché è domani che dobbiamo insaccare...”

venerdì 24 ottobre 2008

Halloween

Dliiin Dlooon...

“Chi è?”
“Dolcetto o scherzetto?”
“Eh?”
“Dolcetto o scherzetto?”

trick, track, track, track, trick, scrock, gronck, track, treck, gneeec...

“Dolcetto? Grazie ma ho il diabete, non posso mangiare dolci e comunque non compro mai dai venditori porta a porta”
“Venditori? Le sembro forse un venditore?”
“Ora che ti guardo meglio no, mi sembri un nano vestito da deficiente...”
“Sono un bambino, non un nano”
“Però sei vestito da deficiente lo stesso...”
“Sono mascherato”
“Perché, devi forse rapinare qualcuno?”
“Ma lei lo sa che giorno è oggi?”
“Venerdì, perché? Sei il rapinatore del venerdì, tu?”
“No, oggi è Halloween”
“'sa l'è?”
“Halloween, la festa dei morti”
“Umadonnasignùr, spetta che mi gratto... Guarda piccolino che ti sbagli. La festa dei morti è il 2 novembre”
“Ma noooooo... non quei morti lì, la festa dei morti viventi!”
“Bimbo, guarda, non so che idea abbia tu della morte ma i morti quando son morti sono morti e basta”
“E invece ci sono anche i morti viventi”
“Ah sì? E dove?”
“In america”
“Allora perché non prendi un bell'aeroplanino e non te ne vai in america a festeggiare la festa dei morti viventi anziché venire a frantumare i maroni a me?”
“Ah, vanno bene anche i marroni, al posto dei dolcetti”
“Ho detto che non compro niente. Sei sordo?”
“Guardi che è lei quello sordo. La notte di Halloween i bambini vanno in giro per le case a chiedere i dolcetti e se non li ricevono fanno gli scherzetti”
“'scolta, piccino, a prescindere che a me questa festa di Aulin che parla di morti non mi piace per niente, ma anche se avessi dei dolcetti in casa – e non li ho perché ti ho appena detto che ho il diabete e non posso mangiarli – non te ne darei nemmeno una briciola”
“Allora devo farle uno scherzetto”
“Ga manca dumà quest...”
“Eh?”
“Niente, niente. Senti, bambino, è tardi, stavo guardando Porta a Porta ed ero quasi riuscito ad addormentarmi, quindi perché non porti via dal mio uscio quella tua faccia da cadavere in decomposizione e non mi lasci in pace?”
“La regola è regola, se lei non mi dà un dolcetto io faccio lo scherzetto”
“Bimbo, è la terza volta che te lo dico: dolcetti non ne ho. Se vuoi posso darti del tacchino arrosto, delle rape bollite, del pane di segale ma dolcetti no. E' chiaro il concetto?”
“Allora le devo fare lo scherzetto”
“Epperlamiseria, fammi 'sto scherzetto, basta che ti sbrighi che mì vori andà in lett!!!”
“Non so che scherzo farle...”
“In che senso?”
“Nessuno si è mai rifiutato di darmi un dolcetto, quindi non ho mai dovuto fare nessuno scherzo”
“Bambino, sei un po' duro di comprendonio, eh? Non mi sto rifiutando, ho solamente detto che non ne ho!!! Vuoi i soldi? Tò, prendi cinquanta centesimi e comprati quello che vuoi”
“E secondo lei con cinquanta centesimi cosa ci compro?”
“Macchenneso? Quando ero piccolo io con cinquanta centesimi ci compravo le rotelle di liquirizia e una bottiglietta di sciroppo colorato”
“Ma ai suoi tempi c'erano le lire, adesso ci sono gli euro e i centesimi non valgono più come una volta!”
“Non è un problema mio. Prenditi la monetina e facciamola finita”
“I miei genitori mi hanno sempre detto di non accettare soldi dagli sconosciuti”
“Piacere, Umberto Zucca. Addio”
“Ma dove vado a comprare i dolcetti a quest'ora???”
“Non lo so, diamine, NON LO SO! Senti, io quello che potevo fare l'ho fatto, ok? Adesso decidi tu, o mi fai uno scherzetto o ti scavi dalle palle, ok? Voglio tornare a letto, non mi interessa niente dei morti, dei vivi, dei dolcetti e di come si comprava meglio quando c'erano le lire...”
“Prima o poi morirà anche lei, lo sa?”
“Stai forse gufando?”
“Eh?”
“Me la stai lanciando? Stai portando sfiga? Il tuo secondo lavoro è fare il becchino?”
“Sono un bambino, non lavoro, sto ancora studiando”
“E perché non sei a casa a farlo, in questo momento?”
“Perché stasera è festa”
“Eh no, ignorantello mio. Qui siamo in Italia e non è festa, se vuoi far festa vai in America oppure aspetta due giorni”
“Se torno fra due giorni lei me lo darà un dolcetto?”
“Dolc... ma porc... bambino, forse sei sordo e magari leggendo il labiale ti è più chiaro: NON MANGIO DOLCI, HO IL DIABETE”
“Ma lei non li deve mangiare, li deve dare a me”
“Ma perché????”
“Perché è la tradizione di Halloween”
“Io non lo festeggio, Aulin!!!!”
“Non dovrebbe arrabbiarsi così tanto, le si gonfiano le vene sul collo”
“Beh, peccato che tu non riesca a vedere nei miei pantaloni, perché altrimenti scopriresti che non mi si gonfiano solo quelle!!!”
“Non mi interessa vedere quello che ha nei pantaloni e se ci prova chiamo la polizia”
“Io non... non voglio mostrarti niente, ho solamente detto che... Senti, aspetta qui un momento”
“... Signore? Dov'è andato? Signore? ...”
“Ecco, prendi questa caramella e vattene, ok?”
“Ma allora ce l'aveva il dolcetto!”
“Sì, di capodimonte, contento? Fa parte della mia collezione di ceramiche napoletane del secolo scorso ma tutto d'un tratto ho deciso di cambiare collezione e darmi alle droghe, ok? Anzi, sai che faccio? Parto. Adesso prendo un taxi, vado in aeroporto, compro un bel biglietto solo andata per l'America così finalmente anche io potrò andare in giro travestito da Michael Jackson con la sifilide e potrò finalmente festeggiare la festa di Aulin, contento?”
“Sì, signore, però...”
“Però COSA???”
“In America hanno abolito Halloween...”

Intervista a Chuck Norris

Dopo l'intervista a Dio e quella al Bosone di Higgs, finalmente l'intervista all'inventore dell'Universo.

Intervista a Chuck Norris

Domanda: E’ un onore poterla intervistare. Poco fa ho incontrato il bosone di Higgs che mi ha fatto un’eccezionale dichiarazione: dice che l’universo l’ha inventato lei.

Chuck: Il bosone? Simpatico ragazzo...

Domanda: Quindi? Cosa mi dice, è vero o no?

Chuck: Inventato è una parola grossa, diciamo che l’idea è mia, ecco. Ho rigettato le basi.

Domanda: Come? Rigettato? Beh, modestissimo, come sempre.

Chuck: E’ un po’ la mia caratteristica pecuniare.

Domanda: Pecuniare?

Chuck: Sì, da pecuniarità. Quando uno ha una dote o un’abilità particolare che lo contraddistingue.

Domanda: Ah, sì, capisco... ehm... E come l’è venuta l’idea di creare l’universo?

Chuck: E’ stata un’illuminazione. Nel senso che ero lì, nello spazio vuoto e nel buio totale e non avevo nient’altro da fare che girare i pollici in senso orario. Dopo circa due millenni di senso orario, mi misi a girarli in senso antiorario e scoprii di aver inventato la retromarcia. Dopo circa quattro o cinque millenni, non saprei dirle precisamente quanto anche perché la matematica, al contrario della letteratura, non è il mio forte, decisi che era ora di sgranchirmi anche le gambe. All’epoca ero solamente un ectorplasma e...

Domanda: Un ectorche?

Chuck: Un ECTORPLASMA. Un’entità senza capo nè coda, nè carne, nè pesce, nè companatico, ha presente? Beh, insomma, in qualità di entità senza corpo ma solo spirito, decisi che dovevo elevare la mia situazione corporea e passare ad una più materiale e solidificata, anche perché altrimenti non sarei mai riuscito a fare sesso. Ma questo è un altro discorso.

Domanda: Scusi se mi permetto, signor Norris, ma da quel che ricordo io lei non ha mai fatto sesso.

Chuck: Ah, no? Ecco cos’ho dimenticato di fare, allora! Comunque..., dopo aver dato una forma ben fatta e muscolosa al mio nuovo corpo, scoprii quanto era bello fare attività fisica. L’unico problema era che in totale assenza di gravità non riuscivo mai a capire qual era il sopra e quale il sotto, così pensai che dovevo assolutamente creare qualcos’altro di materiale, oltre me, per poter avere sotto i piedi della sostanza concreta su cui correre, saltare, dormire e fare sesso.

Domanda: Le ricordo che non ha mai fatto sesso.

Chuck: Ah, vero. Ha fatto bene a ricordarmelo, ora me lo segno. Dicevo, mentre vagavo senza meta per l’universo, scorgetti da lontano...

Domanda: Scorgetti?

Chuck: Sì, perché?

Domanda: Niente, niente, prosegua pure.

Chuck: ... scorgetti l’insegna di questo pub ai confini dell’universo che non era ancora stato creato, cosa che io sapevo benissimo perché sull’insegna c’era scritto “L’universo che non è ancora stato creato”, e mentre mi appropinquavo seco, meco, teco, udii distintamente una risata Rufuliana provenire dal locale. Il mio sesto o ottavo senso, non ricordo bene, mi disse che qualcuno era in pericolo e aveva bisogno di aiuto, così mi misi a cercare un telefono, un cellulare o anche solo un piccione viaggiatore, ma niente. Mi appuntai di contattare, in seguito, un tale Mc Gyver che mi hanno detto facesse miracoli con dello spago e un paio di fiammiferi... Tengo a precisare, comunque, che all’epoca del fattaccio il mio corpo era ancora in garanzia, non sapevo come funzionasse, quindi ero abbastanza impacciato nei movimenti...

Domanda: Ma come, lei non è sempre stato così come siamo abituati a conoscerla? Fisico scultoreo, scatto felino e mascella da primate?

Chuck: Eh, no. Anche io sono stato una merdina, da giovane. Proprio come lei.

Domanda: Scusi, ma qui non si sta parlando di me.

Chuck: Verissimo, ma mi creda, lei avrebbe bisogno di fare un po’ di palestra.

Domanda: Non divaghiamo.

Chuck: Beh, non conoscevo ancora le potenzialità di questo mio corpo splendidamente ben fatto e muscoloso, quindi dopo aver aperto le porte del pub - che erano simili a quelle dei saloon del Far West, ha presente? Di quelle che se non stai attento te le ritrovi di botto nella schiena - mi ritrovai le porte di botto nella schiena e il colpo mi fece scapicollare verso il centro della sala, non prima, però, di aver inciampato coi miei camperos nella zampa di uno sgabello. L’urto fu così violento che uno dei miei camperos da 2000 dollari si sfilò dal mio piede perfetto e muscoloso e venne lanciato in aria in direzione del Rufuliano. Nel suo roteare sibilando, il camperos colpì prima il muro in cui quel simpatico Bosone si trovava incastrato, poi il Rufuliano, uccidendolo all’istante, infine il barista, che morì di vecchiaia qualche anno più tardi. C’è da ringraziare che ho solo due piedi, altrimenti avrei fatto un’ecatrombe...

Domanda: Eca... Ma quindi, scusi, mi faccia capire... non fu lei, con un calcio rotante, a liberare il Bosone?

Chuck: Eh, no... Pensi, ancora adesso io non so come si faccia un calcio rotante; di solito quelli li fa la mia controfigura.

Domanda: Lei... ha una controfigura? Abbiamo sempre pensato che fosse sempre lei a girare anche le scene più pericolose dei suoi telefilm e adesso salta fuori che ha una controfigura?

Chuck: Guardi, a me sarebbe piaciuto farli da me, ma ho fatto solo 4 anni di danza classica e...

Domanda: Danza CLASSICA????

Chuck: Ma certo!!! Avevo già preso il diploma in punto croce, terzo livello, frequentato il corso di statuine del presepe in pasta di sale, quello di acconciatura estrema senza bigodini e quello sulla french manicure... mi mancava solo la danza classica, per essere un attore completo, no?

Domanda: Scusi, ma allora la sua controfigura chi è?

Chuck: Non lo so, non l’ho mai vista in faccia... Però so come si chiama.

Domanda: Come?

Chuck: Suor Germana.

venerdì 26 settembre 2008

Controlli

“Avanti il prossimo!”
“Sera, Dottore”
“Prego, si accomodi. Allora, mi dica, qual’è il problema?”
“Ecco, vede, dottore, credo di dover sistemare la vista”
“Beh, sono un oculista, è il mio campo. Che sintomi ha?”
“A dire la verità nessuno”
“Come nessuno?”
“Nessuno. Ci vedo benissimo, centro una mela a 300 metri di distanza, riesco a scorgere una sagoma anche al buio e via discorrendo”
“Allora, scusi, non capisco in cosa posso esserle utile”
“Perché tutti mi dicono che sono cieco”
“Quanti sono questi?”
“Due. Se contiamo anche il moncherino del mignolo che le hanno ricucito con 3 punti di sutura e che ha la pelle leggermente screpolata verso l’esterno, due e mezzo”
“Ah-ehm... a me sembra che lei ci veda benissimo”
“E’ quello che dico anche io, ma la gente si ostina a dire che sono cieco!”
“Beh, compiliamo la scheda, intanto: nome e cognome?”
“Eros”
“Eros e poi?”
“Eros e basta”
“Ebasta di cognome?”
“Ma no, mi chiamo solo Eros. Non ho cognome”
“Impossibile”
“Ma ha capito chi sono?”
“Dovrei?”
“Santa patata! Sono Eros, il Dio dell’Amore!”
“Eros il dio del... mi sta prendendo in giro? Eros è un amorino con lenzuolino bianco legato ai fianchi, la faretra sulla schiena e un arco con freccia pronta a scoccare”
“Ma secondo lei, se mi presentavo qui come dice lei crede che mi avrebbero fatto passare? Sarei stato sommerso da richieste”
“Uhm... in effetti. Quindi lei vorrebbe dirmi che non è cieco?”
“Non lo sono, gliel’ho appena dimostrato”
“Vero, già. Eppure lo sanno tutti che l’Amore è cieco”
“La vogliamo smettere? Ci vedo benissimo. Prima la gente si innamora, poi dà la colpa a me”
“Perché, non è forse così?”
“Certo che non è così. Le spiego: sono in giro per i fatti miei, bello contento, no? Mi sto godendo una bella giornata di sole quando ad un tratto sento il pensiero della ragazza che mi passa accanto che dice “Ah, se solo il mio capufficio si accorgesse che esisto... Se solo mi amasse!” E io, che sono preciso e ligio al dovere, a desiderio rispondo. Seguo la donzelletta fin nel suo ufficio, la vedo sdilinquirsi davanti al capufficio, recupero arco e frecce e colpisco. Il capufficio finalmente si accorge della ragazza e dopo un minimo scambio di convenevoli e battutine di basso cabaret la invita ad uscire. I due escono, passano una bella serata, cenano, poi vanno in un pub e qui vengono serviti da un cameriere che definire marcantonio è un eufemismo: due bicipiti così, roba da 15 ore in palestra se non di più. Mi accorgo che le intenzioni della donzella vacillano, non è più così convinta che il capufficio sia un esemplare così interessante, forse per via dell’incipiente calvizie o per il fatto che ha l’ascella leggermente pezzata, non saprei. Fatto sta che quello che prima le sembrava una creatura angelica comincia a sembrare un servo muto con degli abiti gettati sopra. Annaspo cercando una soluzione, perché, deve capire, il poverino ormai è cotto marcio, quando colpisco colpisco e non c’è verso di tornare indietro. Allora mi guardo intorno e scorgo una ragazza che sbava per il cameriere e pensa “Dio, quanti figli vorrei farci con uno così. Se il bicipite è così grosso figuriamoci il resto”. Ora, forse le ragazze non sanno che i palestrati hanno grosso di tutto fuorché “quello”, ma non è un problema mio, quindi passo al contrattacco e ZAC! colpisco il cameriere. Il problema è che il cameriere stava pensando “Carino questo tipino con calvizie incipiente” e si ritrova innamorato del capufficio. Naturalmente il capufficio non ha occhi che per la sua segretaria, quindi il bibendum vivente non può far altro che attirare l’attenzione dello stempiato versandogli da bere addosso e cercando di pulirlo maldestramente. Così facendo si rende conto che il capufficio stempiato modello servomuto FoppaPedretti, lì sotto è entusiasticamente fornito e il cameriere si lascia sfuggire un gridolino che non passa inosservato al padrone del locale, un tipo alla Danny De Vito ma più grasso e meno simpatico, che si avvicina al loro tavolo e si accorge della ragazza. In quel preciso istante pensa “Diamine, che sventola! Di una così potrei anche innamorarmi, se non mi stanco dopo il secondo appuntamento”. Cosa posso fare, in questo frangente? Estraggo nuovamente l’arco e scocco. Per un attimo ho il timore di aver sbagliato perché la segretaria si accorge sì del boss del locale ma pare che il tizio non gli piaccia. Sudo freddo... in quel momento il ragionevole dubbio che la gente abbia ragione si fa strada nella mia mente, poi accade qualcosa, non so se sia per via del Rolex da 14mila euro che il boss ha al polso o altro, fatto sta che la ragazza pare interessarsi al corpulento latin-lover. Comincio a pensare di aver terminato il mio lavoro quando mi accorgo che la ragazza che sbavava per il cameriere è l’unica che ancora non ho accontentato quindi imbraccio di nuovo l’arco e ZAC! colpisco di nuovo. Peccato che in quel momento lei stava pensando con livore alla sua vicina di casa, quella che le scrolla la tovaglia sul balcone riempiendoglielo costantemente di briciole e scopro con orrore che, dopo il mio scocco andato a segno, sta rimuginando di tornare a casa dalla vicina per farsi sbriciolare addosso un intero pane pugliese, non prima, però, di averlo spalmato di Nutella, panna montata e frutti di bosco vari. Insomma, a fine della serata ho: un capufficio superdotato innamorato della sua segretaria che è innamorata del titolare del pub che licenzierà per comportamento indegno il cameriere che si è innamorato del capufficio mentre una cliente si beccherà un sonoro due di picche dalla vicina sbriciolosa perché qualche settimana fa la stessa vicina di casa è stata da me colpita da un amorevole dardo perché il lattoniere che sta posando i tubi della fogna sotto la di lei casa se n’è invanghito vedendola scrollare la tovaglia al balcone. Capisce?”
“Veramente non saprei... cosa intende dire?”
“Intendo dire che non è colpa mia, ma vostra!”
“Nostra? Cioè, la colpa è nostra se ci innamoriamo non ricambiati o della persona sbagliata?”
“Già. E’ proprio quello che intendo”
“Mi faccia capire... quindi lei vorrebbe dirmi che qualche anno fa, mentre facevo jogging al parco e mi facevo bellamente i fatti miei pensando alla spider nuovo modello che avevo intenzione di comprare, la mia futura moglie, vedendomi, ha espresso il desiderio di accoppiarsi con me e lei, ligio al dovere, mi ha centrato con una delle sue frecce facendomi capitolare?”
“Immagino sia andata esattamente così”
“Il fatto che fossi gay per lei non è stato minimamente un ostacolo, giusto?”
“Gay? Ma... io non...”
“E il fatto che adesso, quando mia moglie è via per lavoro, io indossi i suoi vestiti, nemmeno questo le importa, giusto?”
“... non potevo immaginare...”
“E il fatto che debba incontrare il mio amante di nascosto, inventarmi viaggi di lavoro, straordinari, congressi medici e che spenda un sacco di soldi in motel e alberghetti di terz’ordine per non dare àdito a pettegolezzi, non le ha mai sfiorato la coscienza, giusto?”
“... beh, ecco, io...”
“E il fatto che io abbia dovuto snaturare la mia inclinazione sessuale e vivere tutti questi anni sentendomi inadatto a ricoprire il ruolo che lei mi ha obbligato a sostenere, non la fa punto sentire in colpa?”
“Ma non potevo sapere... ho fatto solo il mio lavoro...”
“Il suo lavoro mi ha rovinato la vita!”
“Non dica così... in fondo sua moglie la ama!”
“E io amo un lattoniere!”
“... Prendo quelli con la montatura grossa. Quant’è?”

lunedì 22 settembre 2008

Intervista al Bosone di Higgs

Domanda: Per par condicio credo sia giusto intervistare anche lei...

Bosone: Vorrei anche ben vedere. Da quando in qua si dà per scontato che uno non esista solo perché non si è mai visto? Per esempio, Lei ha mai visto Dio?

Domanda: Beh, certo... gli ho parlato poco fa

Bosone: Intendo dire, l'ha mai visto in faccia, toccato, tastato, sprimacciato o si basa sul sentito dire?

Domanda: Beh, in effetti devo purtroppo confessare che anche io sono uno di quelli che si fida del passaparola

Bosone: Bravo! Però siccome di lui ne parlano in tanti si dà per scontato che esista, mentre visto che di me ne parla un unico imbecille, si mette in dubbio la veridicità delle sue parole. Un po' come gli UFO: comincia uno a dire che l'ha visto, casualmente altri mille li hanno visti. E prima? Perché non hanno parlato prima?

Domanda: Guardi, non è mancanza di fiducia, eh? Solo che davvero non sappiamo che faccia abbia.

Bosone: E che faccia dovrei avere? Come quella di un normalissimo Bosone.

Domanda: Ha detto bosone, vero?

Bosone: Sì, perché?

Domanda: Niente, niente... pensavo di aver capito male. Però, scusi se insisto, a me pare che prima di Higgs nessuno abbia mai parlato di Bosoni, quindi lei dovrebbe essere unico. O no?

Bosone: Eccerto, come no, uno e trino. Ma secondo Lei, è possibile che un unico bosone abbia dato vita a tutto l'universo?

Domanda: Scusi, ma l'universo non l'ha inventato Dio?

Bosone: Chi?

Domanda: Dio. Non per niente, cercando lei gli scienziati stanno cercando la “Particella di Dio”

Bosone: Guardi, parliamoci chiaro, io non so proprio chi sia questo Dio di cui parla Lei. Chi è? Uno scienziato? Un fisico? Un ricercatore?

Domanda: Lui ama definirsi artista. Dice che ha creato l'universo grazie ad uno starnuto e a del Pongo.

Bosone: Ma figuriamoci! Lo sa quanti protoni, elettroni, neutroni, neutrini, leptoni, quark, adroni, barioni, fermioni, pentaquark, iperoni eccetera ci sono voluti per creare l'universo e la vita?

Domanda: Neanche un Bosone?

Bosone: Beh, chiaro che sì: io.

Domanda: A questo punto viene spontaneo domandare: ma lei che ruolo ha in tutto questo?

Bosone: Posso parlare onestamente? In realtà io non c'entro nulla. Le spiego: mi trovavo in un pub poco fuori l'universo, questo universo, intendo... quello non ancora creato. Stavo sorseggiando un Lewptiok beltaniano in compagnia di una sventola che non le dico, sfoggiando tutto il mio sex-appeal ed enumerando tutte le avventure accadute nell'ultimo safari extra-galattico che avevo compiuto due eoni prima, compresa la creazione di una galassia a spirale, quand'ecco che mi sento battere sulla spalla con fare poco amichevole. Mi volto e il mio sguardo incrocia quello della cintura di xetoril di un Rufuliano dell'est della Vonanzia, un pianetoide assurdo che ruota su se stesso ad una velocità folle ma che ruota intorno al suo sole alla velocità di una lumaca Bretaliana, ovvero praticamente fermo. Pensi che una rivoluzione totale del pianeta intorno al suo sole equivale a qualcosa come novemilionisettecentonovantasettemilatrecentocinqu- antottovirgolanoveperiodico anni luce al secondo. Insomma, una roba da invecchiare al solo pensiero. Comunque, dopo aver capito chi mi trovavo davanti ho gentilmente allontanato la bellezza al mio fianco dicendole “Scusa, cara, ho un affaruccio da sbrigare, torno fra due parsec”, dopodiché ho alzato lo sguardo: le zanne del Rufuliano stavano colando saliva sulle mie palpebre, le prime, non le terze, qui, vede? Il suo ruggito è riuscito a spettinare le mie sopracciglia, che noi bosoni portiamo lunghe per sfruttarle come riporto sulla fronte durante i gelidi inverni di Wuxxol. E' la moda, che ci posso fare, e là è così freddo... Mentre con nonchalanche mi risistemavo le sopracciglia, il bestione mi vomita addosso parole in un gergo che non conosco. Schiocco le dita in direzione del barista, che intuisce al volo il mio desiderio e mi porta un altro Lewptiok beltaliano. Con studiata lentezza me lo porto alle labbra, dopodiché, con scatto felino, glielo rovescio sui pantaloni: se c'è una cosa che i Rufuliani non sopportano, è avere i pantaloni bagnati. Mentre il bestione riflette sull'accaduto (in un energumeno di tal fatta, prima che il messaggio arrivi al cervello passano almeno due/tre minuti), io mi appropinquo verso la porta ma non così in fretta come speravo, perché lo schiocco di una frusta mesanoica si spiaccica direttamente sul mio orecchio sinistro, il primo dei cinque, qui dove adesso c'è il buco, staccandomelo di netto. A quel punto è ovvio che non posso fuggire, devo comportarmi da bosone e combattere. Mi volto con scatto felino e spicco un balzo in direzione del bestione, senza accorgermi che la pupattola che mi stavo lavorando in realtà era una mutante gattelliana che si trasforma in un muro di cemento a presa rapida nel momento stesso in cui i miei anfibi cingolati stanno per colpire la bocca del Rufuliano. In un attimo mi ritrovo intrappolato, senza possibilità di scampo, quando, incredibilmente, sento il sibilo inconfondibile di un calcio rotante che colpisce prima il muro, poi il Rufuliano e poi anche il barista, lasciando miracolosamente intatto il Lewptiok beltaliano. Ero salvo. Chuck Norris mi aveva appena salvato la vita.

Domanda: Ma perché, Chuck Norris esisteva già, all'epoca?

Bosone: La verità? L'universo l'ha creato lui...

Intervista a Dio

Domanda: Come Lei ben saprà, non si parla altro che di questo, nel mondo: al CERN di Ginevra gli scienziati hanno avviato l'acceleratore di particelle grazie al quale, tramite un esperimento scientifico, prevedono di riuscire a trovare finalmente il leggendario Bosone di Higgs, chiamato anche “Particella di Dio”. Cosa ne pensa, Lei, a questo proposito?

Dio: Innanzitutto vorrei chiederle gentilmente di darmi del tu. Sono eoni che rifletto sull'opportunità di svecchiare un po' questa immagine di omone barbuto con manie di protagonismo. Con l'avvento di Internet e di tutti questi siti di incontri, è ora di uscire dall'anonimato e di mostrare quello che sono realmente. Non trova?

Domanda: Ma certo, anzi… mi fa molto piacere. Bellalì, fratello, come butta? Che ne pensi di questo tipo… questo Bosone?

Dio: Posso parlare in tutta onestà? Non so chi sia, non ho proprio presente di cosa si stia parlando. All'epoca della creazione dell'universo non sapevo nulla di fisica quantistica. Credo di essere riuscito a malapena a prendere il diploma di terza media. Non ero uno studente modello e la matematica non faceva per me. Mi divertivano molto le belle arti, però: pittura, scultura… un bel giorno mi è capitata per le mani un po' di questa sostanza simile al pongo, o al Das, non ricordo bene, e ricordo i essermi divertito un po' a mischiare un tot di colori. Poi credo di aver starnutito ed è successo il finimondo.

Domanda: Beh, più che finimondo, quello starnuto è stato l'inizio di tutto.

Dio: L'inizio dell'inferno, credimi. Innanzitutto non sono riuscito a trovare un fazzoletto per pulirmi il naso e ho dovuto usare la manica della tunica, dopodiché è arrivata la maestra, di gran carriera, strepitando a destra e a manca perché avevo sporcato l'aula con la plastilina. Mi ha messo una nota sul diario dicendomi di tornare il giorno dopo accompagnato dai genitori e quando ho cercato di dirle che non avevo genitori mi ha dato del bugiardo e mi ha buttato fuori.

Domanda: Dev'essere stata dura crescere senza genitori, senza una guida. Com'è stata la tua adolescenza?

Dio: In realtà non credo di aver mai avuto un periodo della mia vita che si possa definire adolescenza. Mi vedi? Sono sempre stato così, sono nato già vecchio, barba bianca e aspetto vissuto compresi (fra l'altro ho scoperto che l'uomo brizzolato acchiappa un sacco, specie fra le modelle o le divette dello spettacolo). Però avevo un vantaggio: potevo uscire e stare fuori quanto mi pareva senza dover rendere conto a nessuno e, soprattutto, potevo usare l'auto tutte le volte che volevo.

Domanda: Ma torniamo al Bosone di Higgs: cosa pensi del fatto che gli scienziati siano convinti che questa particella sia la scintilla da cui è nato l'universo?

Dio: Innanzitutto, se me l'avessero domandato gli avrei spiegato io com'è nato l'universo, senza andare a scomodare questo signor Higgs che fra l'altro nemmeno conosco.

Domanda: Com'è possibile? Eppure l'uomo l'hai inventato tu.

Dio: Questo è vero, ma non è che posso ricordarmi la faccia o i nomi di tutti quelli che invento, no? Fra l'altro, non sono nemmeno molto contento del risultato. Diciamocelo, per creare l'uomo ho usato materiale di scarto, un po' di argilla e via. Non avendo più accesso al laboratorio scolastico, ho dovuto prendere quello che mi capitava a tiro. Certo, se avessi avuto del Pongo… ma non siamo qui per recriminare, no? E poi la donna mi è venuta così bene, subito dopo… Ho saputo, comunque, che qualcuno dice che io gli avrei sputato addosso. Tengo a precisare che non è assolutamente vero ma se me ne fosse data la possibilità in questo momento, qualcuno a cui sputare ce l'avrei…

Domanda: Per esempio?

Dio: Higgs

Domanda: Higgs? Come mai?

Dio: Perché così impara ad andare in giro a millantare cose di cui non sa nulla. Come si è permesso di chiamare un insulsissimo bosone, che fra l'altro nessuno ha ancora mai visto, “particella di Dio”? Dove siamo, nell'acqua Lete? Che poi, caro il mio sapientone, il Lete lo sanno tutti che è il fiume su cui Caronte traghettava i morti. Tu la berresti un'acqua di nome Lete?

Domanda: Adesso che mi ci fa pensare no. Però Higgs ha studiato. Si è laureato.

Dio: Laurearsi non significa necessariamente conoscere tutto il conoscibile. Ha voluto fare lo sborone, diciamocelo: si è riempito la bocca di paroloni, peraltro a mio parere inventati da lui, e tutti a dire “ma che bravo” di qua “ma che bravo” di là. Ma le prove? Dove sono le prove?

Domanda: E' ben per questo che è stato creato l'acceleratore di particelle: per provare l'esistenza di questo elemento.

Dio: Senti un po', scusa… arriva uno, metti che si chiami Rossi, no? Che ti dice di aver trovato una particella qualsiasi che chiama, che so? Landrulone. Viene da te e ti dice: Ho scoperto il Landrulone di Rossi. Tu che fai? Gli credi sulla parola?

Domanda: No

Dio: Appunto! Se Higgs mi dice che ha scoperto ‘sto bosone mi deve portare le prove!

Domanda: Effettivamente, Higgs ha detto di aver trovato un'ipotetica particella elementare, non di averla trovata per davvero.

Dio: Ah-aaaaaaaah! Vedi che ho ragione? E' un millantatore. Sono bravo anche io a dire “Ho scoperto ipoteticamente la particella Spurefix”. Solo che se lo dico io è vero, perché io, in quanto Dio, posso effettivamente crearla. Mi basta un po' di argilla e il gioco è fatto!

Domanda: Però sembra che vi siano prove della sua esistenza.

Dio: E quali? Sbaglio o non è stata ancora osservata?

Domanda: E' quello che dovrebbe accadere durante l'esperimento che verrà effettuato a Ginevra, nel Large Hadron Collider.

Dio: Anche qui, io non capisco… siamo a Ginevra e chiamate un acceleratore con un nome inglese? Se eravamo in Cina come lo chiamavano? In turco?

Domanda: Queste sono sottigliezze. Comunque si chiami, con l'esperimento sembra che possano riuscire a determinarne la reale entità.

Dio: Bubbole. Non ci riusciranno. Non permetterò mai che una minuscola particella soppianti la mia autorità di creatore dell'universo e manipolazione della materia. Che figura ci farei, dopo tutti questi millenni? S'immagina i titoli sui giornali? “Dio è un bugiardo, l'universo non l'ha inventato lui ma Higgs"

Domanda: Semmai, il bosone

Dio: Beh, chiunque provi anche lontanamente ad accollarsi la paternità della creazione dell'universo dovrà vedersela con me. Sono pronto a dare di matto: così come vi ho creato io vi distruggo. Fra l'altro, sono decenni che vi osservo e più che atrocità non ho visto.

Domanda: Per esempio?

Dio: Che coraggio! Per esempio “Amici”, la Defilippi, Costantino Vitaliano, Gigi D'Alessio… uno vi prende per il culo e voi tutti a sbavare come dei decerebrati. Uno vi manda gente coi controcoglioni come Gesù, Gandhi e papa Luciani e voi li fate fuori come se foste ad un tirassegno.

Domanda: Uhm ehm… beh, ma vede… alle volte, l'ignoranza umana fa fare cose di cui poi ci si pente…

Dio: Non solo l'ignoranza umana. Anche io sono un bel po' pentito di avervi creato.

Domanda: Se è per questo, c'è stato qualcuno che ha persino messo in dubbio che a crearci sia stato tu.

Dio: Lo so. Un certo Darwin, vero?

Domanda: Sì. Secondo lui, l'uomo è il derivato di un'evoluzione naturale che è iniziata dal famosissimo Big Bang, che ha dato origine alla vita eccetera eccetera…

Dio: Fami capire: è quello che state cercando di ricreare durante l'esperimento al CERN di Ginevra, grazie al famoso acceleratore di particelle che dovrebbe riuscire a farvi trovare il celeberrimo Bosone di Higgs, detta anche “Particella di Dio”?

Domanda: Esatto

Dio: Beh, ma se l'evoluzione non l'ho creata io, perché cercate la MIA particella?

Domanda: … non lo so.

Testimoni

“Buongiorno, posso disturbarla?”
”Per cosa?”
“Ecco, vede, io sono un testimone di Geova e…”
”Che cosa ha combinato?”
“Chi?”
“Geova”
“Ma... niente, perché?”
“Ha appena detto che è suo testimone”
”Infatti è così”
“Beh, allora che ha fatto? Ha tamponato qualcuno e se l’è data a gambe?”
“Ma no! Geova non sa nemmeno guidare, quindi...”
“Guida senza patente? Beh, non credo che lei possa fare molto per lui”
“No, ecco… Geova è il mio pastore, la mia guida spirituale”
“Oh, allora vede che guida, ‘sto Geova?”
“Sì, no, sì…intendo dire che è la guida del mio spirito”
“Vuol dire che guida ubriaco?”
“Mamma mia, che fatica oggi… senta, scusi, ricominciamo da capo. Noi testimoni abbiamo una chiesa e…”
”Ho capito. Ha rubato le offerte. Eh, coi tempi che corrono non è una novità. Con l’avvento dell’euro non si riesce più ad arrivare a fine mese, specie gli anziani, con le pensioni miserrime che si ritrovano. Se l’ha fatto per mangiare un po’ lo capisco, sa? Anche io, certe volte, le confesso che sono stato tentato di rubacchiare. Poi però…”
“No, guardi, non ha rubato proprio niente. Non ha bisogno di rubare, lui. Nemmeno mangia!”
“E di cosa vive? D’aria?”
“Beh, diciamo che sì, vive d’aria e di amore”
“Fa bene! Anche mia cugina vive d’amore. Tutte le sere dà un po’ d’amore a qualcuno. Guadagna anche benino, ora che ci penso”
“Scusi, ma qui non si parla di “quel” tipo di amore”
“Di che tipo parla, lei?”
”L’amore filiale, l’amore fraterno, l’amore disinteressato, l’amore incondizionato…”
“Mah. Non sarà un po’ sofisticato, questo Geova? L’amore è amore, punto e basta”
“Beh, comunque sia, sono qui per testimoniare l’amore di Geova e la sua parola”
“Bisogna vedere cosa ne pensa il giudice. Uno potrà anche dispensare amore in tutte le sue forme ed essere buono come il pane – benché questo rubi le offerte in chiesa, quindi tanto buono non dev’essere – però non tutti si fidano della parola, ci vogliono le prove”
“Certo, certo, comprendo benissimo che taluni abbiano bisogno di prove, ma qui si parla di fede”
“Ancora peggio! Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”
“Ma l’uomo ha bisogno di credere. O lei non crede a nulla?”
”Certo, credo in un sacco di cose. Credo che Maradona sia ancora il più grande calciatore di tutti i tempi, credo che il vino rosso col pesce sia una scelta un po’ azzardata e tra le tante altre cose credo che mia moglie abbia un amante”
“L’ha mai visto?”
“No, ma ho colto dei segnali inequivocabili”
“Tipo?”
”Beh, ultimamente quando esce di casa si veste sempre bene, in maniera ricercata. Va spesso dal parrucchiere e si profuma un po’ troppo”
“Beh, ma queste non sono prove inconfutabili”
“Senta, lei mi ha chiesto in cosa credevo? E io gliel’ho detto. Io non vengo certo a sindacare quello in cui crede lei, no?”
”Beh, ma quello in cui credo io è una fede religiosa”
“Ma chi? Geova?”
“Sì”
”L’ha mai visto?”
“No, ma…”
”Allora come fa ad essere sicuro che esiste?”
“Non lo sono, ma ho la fede”
“Ha la fede di Geova?”
”No, ho la mia”
“Quindi è sposato anche lei?”
”No, io ho fatto voto di celibato”
“Perché?”
“Perché così vuole Geova”
“Scusi se mi permetto, eh? Ma prima non ha forse detto che Geova vive d’amore? Allora perché dovrebbe volere che i suoi testimoni – anche se non ho ancora capito cos’ha fatto di così grave questo poveretto che non mangia, non beve e guida solo ubriaco – restino celibi?”
“Non è un’imposizione, è una scelta di vita. E’ come essere sposati con lui”
“Ah, quindi lei parla dei PACS. Quella roba lì che si possono sposare anche i gay. E vivete assieme?”
“No, guardi, lei ha proprio capito male: non sono gay”
“E’ mai stato con una donna?”
”No, ma…”
”Allora è gay”
“Ma mi faccia il favore! Le ho detto che non sono gay, perdiana!”
“Allora perché vuole sposarsi con Geova, scusi?”
”Non voglio sposarmi con lui, ho solo detto che è “come essere sposati con lui”. E’ una metafora”
“Beh, se non vuole sposarlo vuol dire che questo Geova non dev’essere un tipo molto per la quale…”
“Invece è un tipo a posto. Che poi… non è un uomo. Ha presente Dio? Ecco, più o meno lui”
“Più o meno? Cosa vuol dire più o meno? O è lui o non è lui. Se è lui si chiama Dio e basta. Che cos’è, un cantante, che si crea uno pseudonimo o un nome d’arte? Cosa fate, andate in giro con le magliette con la sua effige stampata sopra e fate i rave party?”
”No, niente di tutto questo. Noi preghiamo e basta”
“A me pare che lei non stia pregando, ma piuttosto disturbando un passante che si stava facendo bellamente i cavoli suoi, a cui sta raccontando un sacco di fandonie su uno che si fa chiamare con un nome diverso dal suo, che non ha combinato niente di grave però va ai rave-party, però è anche buono, non mangia, non beve e non guida però ha bisogno che qualcuno lo testimoni. Scusi, è come se io andassi a messa e quando passa il cestino delle offerte, dopo aver messo ben 10 euri, mi alzassi in piedi gridando: Guardatemi, guardatemi, ho messo 10 euri, sono il migliore, sono il più buono, non trombo da 2 mesi e mezzo ma mi raccomando: non sono gay!”
“Guardi che “Geova” è solo un altro nome per definire Dio”
“Cioè lei mi vuole dire che quando nacque Dio i suoi genitori andarono all’anagrafe universale e lo registrarono con più nomi? Tipo: “Salve, sono il padre di Dio, il creatore dell’universo. In realtà non dovrei essere qui, perché Dio non mi ha ancora creato, ma per ovviare a fraintendimenti futuri vorrei registrare mio figlio con i seguenti nomi: Dio, Geova, Javè, Buddha, Maometto, Krishna e Superpippo. Sa gli piacciono le noccioline…”
“Non so se sia andata così o meno, ma per noi si chiama Geova”
“E allora per me si chiama Arturo e sono il suo testimone. Come la mettiamo?”
”La mettiamo che Arturo non esiste. Non esiste nessun Dio che si chiama Arturo, via…”
“Beh, io non ho nemmeno mai visto Geova, se è per questo”
“E difatti non lo vedrà mai!”
”E allora per chi sta testimoniando, scusi???”
“Non lo so, ok?? Non lo so!!! Mi hanno detto: Vai per le strade, ferma la gente e affibbiagli uno di questi volantini del cazzo su questa torre con questa guardia che tutto vede e tutto provvede, ok? Parla del leone e dell’agnello e di quel tempo che verrà in cui entrambi vivranno felici l’uno accanto all’altro, che peraltro se guarda il programma della Colò già succede. Pensi, io nemmeno volevo farlo, il testimone. Mi sarebbe piaciuto laurearmi in fisica nucleare o in conservazione dei beni e invece no, ho avuto la sfiga di nascere testimone e dovrò morire testimone. Fra l’altro, nemmeno mi pagano, lo sa? Niente, manco un centesimo. Tutto quello che riesco a racimolare dalla pseudo-vendita di questi cazzo di volantini li devo versare in una cassa comune. Mi piacerebbe tanto vestire alla moda, cosa crede? Invece no, devo andare in giro vestito come se fossi appena uscito da un film degli anni cinquanta, per giunta nemmeno nel pieno del boom economico. Mi faccio pena da solo ma cos’altro posso fare? Fra noi testimoni non si usa stare al passo coi tempi, abbiamo un unico stilista che è anche quello che dipinge queste vignette su questo cazzo di volantino, ok? Mi hanno detto “devi dire questo e quello, devi fare il lavaggio del cervello alla gente“ ma non mi avevano detto che avrei avuto la sfiga di incontrare gente che si mettesse a fare tutte queste questioni. Pensavo di impiegarci un paio di minuti, il tempo di dire quattro fregnacce, di sganciare una Torre e racimolare qualche spicciolo per un caffè – che detto per inciso non potrei nemmeno bere, ma tanto ormai sono già nervoso, quindi... Inoltre, oggi è il primo giorno in cui esco da solo e sono già esaurito per colpa sua. Tutte queste domande, tutti questi dubbi… Non poteva prendere sto cazzo di volantino e andarsene?”
“Lei ha detto 4 volte cazzo”
“Davvero?”
“Giuro.Li ho contati”
“Oddio. Anzi, Oggeova… noi non diciamo parolacce. Adesso dovranno espellermi dalla congregazione”
“Ottimo. Io gestisco una jeanseria che…”

Turing

“Benvenuti a questa nuova puntata di “La tecnologia ci prende per il culo?” Oggi abbiamo in studio l’inventore del Test di Turing, ovvero il signor Turing. Signor Turing, come le è venuto in mente di creare un test per capire se una macchina sia in grado di pensare in maniera autonoma e di sostituirsi all’uomo? ”

“La ringrazio per la domanda. Vede, può succedere, ultimamente, che vengano portate a termine registrazioni da parte di software automatizzati, che potrebbero, per esempio, registrare migliaia di nuovi indirizzi email al giorno che poi utilizzano per inviare quelle che noi chiamiamo mail “spam”. Il mio test presuppone che le immagini distorte che dobbiamo copiare quando, per esempio, ci dobbiamo registrare su un sito, impediscano, appunto, un riconoscimento in automatico da parte di un software”

“Signor Turing, lei ci parla di immagini distorte: ci può spiegare precisamente come funziona questo test?”

“La ringrazio per la domanda. Per chi non lo sapesse, il mio test si prefigge di capire se una macchina sia in grado di pensare. A questo proposito ho ideato le immagini CAPTCHA, il cui acronimo significa: Come? Accidenti! Peddavero? Tienimi! Che? Hai che? Anvedi! Solo che siccome in italiano non aveva la stessa forza che in inglese, ho deciso di tradurlo in: Completely Automated Public Turing test to tell Computers and Humans Apart, perché anche questa è una tattica per fuorviare la macchina e fargli credere una cosa anziché un’altra. Sono, appunto, le immagini distorte di cui parla lei”

“Macchine pensanti! Penso che il solo pensiero che le macchine possano pensare è alquanto inquietante... Pensi: quando le è capitato di pensare che le macchine stessero pensando autonomamente?”

“La ringrazio per la domanda. Il primo sentore che le macchine stessero pensando autonomamente lo ebbi quella volta in cui il tostapane in cui avevo inserito una fetta di pane bianco mi restituì una fetta di pane ai cereali, imburrata e marmellata con il mio gusto preferito, frutti di bosco e cannella, gusto peraltro introvabile”

“Un episodio eccezionale! Cioè, a chi non piacerebbe avere delle macchine che riescono a risolvere da sè dei problemi di ordinaria amministrazione?”

“La ringrazio per la domanda. E’ vero, piacerebbe a tutti, ma non ho finito di dirle com’è andata. Il tostapane, dopo avermi restituito la fettina di pane, l’ha incenerita con un raggio laser che ha diviso in due il tavolo con ripiano in granito spesso 8 centimetri ed è fuggito, poi, dalla porticina basculante che il mio gatto usa per uscire in giardino. Mi reputo fortunato a non aver riportato conseguenze”

“Diamine, la questione si fa seria. Ma qui, allora, non si parla di macchine tipo computer, bensì di macchinari che tutti, più o meno, abbiamo in casa o di cui usufruiamo quotidianamente, giusto?”

“La ringrazio per la domanda. In effetti un altro sintomo che le cose stessero prendendo una piega diversa lo ebbi quella volta che andai a prelevare. Avevo digitato tutto correttamente ma la macchina mi erogò delle banconote da 50 petrodollari sul cui sfondo campeggiava un primo piano di Paperino col dito medio alzato, e quando richiesi la ricevuta sentii distintamente provenire dal bancomat una risata sarcastica. Sul cedolino lessi la scritta: sei un pezzente”

“Beh, ma questi, però, se mi permette, sono episodi isolati. Non crede ci vogliano delle prove più concrete per poter affermare con certezza che le macchine stiano prendendo il sopravvento?”

“La ringrazio per la domanda. Effettivamente anche io all’inizio ho pensato che si trattasse di episodi sporadici e casuali, ma... la prova che le macchine stavano DAVVERO ragionando autonomamente l’ho avuta quella volta in cui mia figlia diciottenne e neopatentata parcheggiò un mercedes station vagon nello spazio in cui avrebbe potuto starci sì e no una Smart, senza procurare il minimo graffio alla vettura”

“Lei sta dipingendo un panorama agghiacciante! Mentre è plausibilissimo pensare ad una bancomat che emette Petrodollari al posto di euro, è assolutamente impossibile pensare che una neopatentata riesca a fare ciò che ha fatto sua figlia...”

“La ringrazio per la domanda. A...”

“Guardi che non era una domanda...”

“A no?”

“La ringrazio per la domanda. Per terminare quest’intervista, le chiedo un’ultima cosa: secondo Lei, questo CAPTCHA può essere la tecnologia che tutti stavamo aspettando, ovvero il meccanismo che ci aiuta a capire quando sono le macchine ad intervenire al posto dell’essere umano?”

“La ringrazio per la domanda. Se il mio PC mi restituisse il CD in cui ho registrato tutti i miei dati, oltreché il criceto, il cane bassotto e la mia collezione di bottiglie mignon di liquori asiatici, credo proprio di sì...”

giovedì 17 luglio 2008

Non è mai troppo tardi

“Maria, ier sera hù fa petting”
“Cusa t'è fat cus'é? Petting? E con chi?”
“Cun la televisiùn”
“La televisiùn? T'avaré fa zapping, non petting, 'gnuranta!”
“'Gnuranta a chi? Và che mì sun laureada in lingue indostane!”
“Alura và in t'el Indostania a parlare l'indostano”
“Vabbè, me son confonduda. Comunque, prima hù fa ZAPPING, però siccome gh'era gnent de bell in TV hù ciamà el Carlett”
“Il Carlett? Quel che'l giuga semper a cart a la bocciofila?”
“Propi lù”
“E avì fa cus'è?”
“'Em fa PETTING”
“Uè, Belinda, t'al sé cosa significa petting?”
“Ma sì, Maria! Sun minga nata ier, no? Ci siamo cincischiati un po'...”
“E poi?”
“E poi siccome al Carlett el ghe tira minga, g'hù fa un caferìn e l'ho rimandato alla bocciofila”
“Ussingùr...”
“'petta che non è mica finita!”
“'ste cumbinà cus'è, ancamò?”
“Vist che urmai a s'eri tutta scumbusolada, hù ciamà el Renzo”
“Ma chi? Quel che'l giuga a cart col Carlett?”
“Già. Lù”
“Lasum induinà...”
“Eh, ci siamo cincischiati un cicinìn anca col Renzo”
“Sperém ca la sia andada ben, stavolta...”
“Maché! 'Na delusiuuuuun...”
“Beh, Maria, te saret minga nata ier, ma in quant a furbizia, lasciatelo dire...”
“Petta! Ci ho dato un bicerìn de rosolio, così da far finta che fosse tutt a post e l'ho rimandato in bocciofila”
“Anca lù?”
“Eh, beh, l'era el cumpagn del Carlett!”
“E po'? Te s'è andada in lett?”
“Macché! S'eri lì tutta imbastida, no? Pensa che ti ripensa, m'è vegnù in mente che l'Oreste...”
“Quel che'l giuga col Carlett e il Renzo”
“Eh, brava! Qualche temp fa el me faseva la cùrt... alura l'hù ciamà”
“E lù?”
“L'è vegnù a truamm. Insomma... dagg un basìn, ciapane n'alter, tocca di qui, tocca de là... quand che sun 'rivada alla “situasiun”... gh'era gnent de tucà”
“Maria... oramai te duaria savel: l'omm, pasà i sesantacinc'ann l'è minga tanto... come dire, afidabile”
“E difatt, siccome a quel punt s'eri ecitada come un muflone durante il periodo dell'estro, hù ciamà el Benito”
“Benito? Benito il papà del Carletto?”
“Propi lù!”
“Uè, ma te s'è diventà scema?”
“Scema? Patapem patapim, patapem patapim, se ghe disevi minga basta s'eri ancamò adree a pitampare!”
“... eh, beh... l'uomo maturo l'è semper una garanzia...”

venerdì 11 luglio 2008

PreTesti!

Amici! Le fatiche prima o poi vengono premiate.
Avete presente il concorso PreTesti organizzato dal sito de "Le Befane"? Hanno pubblicato la prima edizione cartacea che distribuiranno presso il centro commerciale e che è anche scaricabile onlain e...

squillino i tamburi - rullino le trombe...

IL MIO RACCONTO C'E'!!!!
Sono la seconda pubblicata nella sezione 6000 battute, con lo pseudonimo di Adrenalyne66!

Grassssie, grasssie, basta applausi, grassssie... :D

giovedì 10 luglio 2008

Alla Pimpa non piacciono le caramelle alla menta

La questione era tutta lì, in quella parola: “idiota”.
Il corpo della cassiera se ne stava riverso tra lo scaffale delle guide turistiche e la sezione di libri per bambini. Poco distante dal cadavere, la scaletta di metallo a tre gradini su cui, quasi sicuramente, la vittima era salita per prelevare un volume, là in alto.
La Papua Nuova Guinea?
Chi mai avrebbe voluto comprare una guida sulla Papua Nuova Guinea, edizione Mondadori 2005?
A novembre, peraltro.
“Sono normalissime puntine da disegno, di quelle che usano i bambini per fissare i fogli, ha presente, ispettore?”
“Ho presente sì. Ma come si può essere così macellai da usarle per scriverle quella parola in faccia?”
In mezzo al sangue che aveva ormai coperto tutto il viso, raggrumandosi poi sui capelli lunghi, si stagliavano le capocchie di plastica colorata delle puntine.
“Ha avuto tutto il tempo per scegliere un colore per ogni lettera. Non dev'essere stato facile farle entrare così profondamente qui, sulla fronte”
“Posso solo supporre che sia stato un gesto dettato da una rabbia cieca. La rabbia ti fa fare cose che ritenevi impensabili. La rabbia e la paura”.
Non aveva l'aria di essere un omicidio premeditato. Se non fosse stato per quella parola tatuatale in faccia a suon di puntine, questo avrebbe potuto essere archiviato come “incidente sul lavoro”. Ma quella parola era lì e aveva sicuramente un significato.
“C'è una cosa che non capisco, ispettore... le impronte digitali presenti sulle puntine sono... piccole!”
“Piccole?”
“Sì, signore. Sono impronte di bambino. Credo possa avere intorno agli otto, dieci anni al massimo”
Non era possibile. Cosa aveva potuto scatenare tanta rabbia, in un bambino così piccolo?
“Il referto del coroner indica che la morte è avvenuta stamane tra le 8 e le 9. Prima dell'apertura del centro commerciale, in pratica”.
“La ragazza era sposata? Aveva figli?”
“Il titolare dice che viveva da sola con un figlio piccolo avuto da una relazione finita male. Non sa dirci nulla di più”
“Il bambino dov'è, adesso?”
“Non lo sappiamo. Tutte le mattine, prima di aprire il negozio, la donna era solita portare il figlio a scuola. Abbiamo controllato, però oggi c'è un'assemblea d'istituto, quindi il bambino non si trova”.
“Altri parenti?”
“Nessuno. Si era trasferita qui circa un anno e mezzo fa. Da sola”.
Non doveva aver avuto una vita molto facile. Un figlio piccolo da mantenere, ore ed ore di lavoro per guadagnare di che vivere degnamente, fare in modo che al figlio non mancasse niente. Di quante cose si era dovuta privare, quella ragazza?
“Ispettore? Venga, per favore...”
La faccia del bambino che attendeva sull'entrata era seria, ma non presentava segni di pianto. Più che altro, il bambino era arrabbiato. Teneva stretto a sé un pelouche raffigurante un cagnone bianco a pois arancioni. Le dita del bambino, strette nervosamente attorno al gioco, erano sporche di sangue. Trovarsi faccia a faccia con un assassino così piccolo dava le vertigini.
“Non è vero che alla Pimpa non piace la menta. E' solo una scusa per non comprarci le caramelle”.
Non riesco a rispondere. Non trovo nemmeno la forza di allungare una mano, di accarezzare quel visetto arrabbiato dietro cui si cela un cervello così ingenuamente diabolico. Quanto sta diventando precocemente marcio, questo mondo? Non trovo nessuna giustificazione plausibile, non riesco a capacitarmi di tutto questo.
“Chiami i servizi sociali, Bartoli”.
Giro le spalle, sperando che nessuno si accorga dei miei occhi lucidi.

(scritto per il concorso Pre-testi)

martedì 8 luglio 2008

E per la notte rosa...

“Buongiorno, mi scusi, cercavo qualcosa di rosa per festeggiare la notte rosa”
“Ma va? E' la prima che me lo chiede! Qualcosa di rosa... cosa?”
“Beh, qualsiasi cosa”
“Qualsiasi? Allora abbiamo questa batteria di pentole in gres porcellanato, rosa antico, che...”
“Le pentole preferirei di no. Pesano. Mi ci vede ad andare in giro per Riccione con una batteria di pentole?”
“Allora guardi, potrei darle questo ventilatore a piantana rosa shocking...”
“Ehm... guardi, è bellissimo, eh? Ma io pensavo a qualcosa di più... maneggevole”
“Capisco. Che ne dice di questa peonia a petali rosa screziati fucsia?”
“E' viva?”
“Certamente”
“Grazie, ma non mi ci vedo ad andare in giro con una piantina viva. Rischio di dimenticarmela in giro e mi dispiacerebbe”
“Giusta considerazione. Abbiamo questa simpatica macchina per pop-corn a forma di maialino...”
“No, ecco, vede... io ci vorrei andare in giro, con questo qualcosa di rosa”
“Beh, ma questa la può portare dove desidera, sa?”
“Non capisce: vorrei qualcosa con cui addobbarmi”
“E che cos'è? Un albero di natale?”
“No, ma... insomma, qualcosa da indossare!”
“E perché mi ha detto che le andava bene qualsiasi cosa, scusi?”
“Perché pensavo si capisse, che ci arrivasse da solo”
“E secondo lei io dovrei leggere nel pensiero di chiunque venga qui alle Befane?”
“No, ma...”
“Appunto! Ora, se vuole essere più specifica...”
“... qualcosa da indossare. Non so, un foulard, un cerchietto, una cintura, un accessorio...”
“Questo, per lei, è essere più specifici?”
“Rispetto a prima, direi di sì”
“Capisco. Allora... abbiamo questo foulard in seta cotta, 79 euri”
“Troppo caro”
“Cintura in finta tartaruga, vera ecopelle garantita 10 anni”
“Troppo finta”
“Cerchietto “Winx” con orecchie di peluches”
“Troppo fantasy”
“Calzini a rete larga con filo dorato”
“Troppo corti”
“Profumo “Rose is a Rose is a Rose” di notissima casa profumiera francese”
“Troppo etereo”
“Orecchini in madreperla a forma di conchiglia”
“Troppo marini”
“Guepiere in pizzo e raso con reggicalze”
“Troppo volgare”
“Boa di struzzo lunghezza metri due”
“Troppo struzzo”
“Pin “Think Pink” originale USA”
“Troppo america”
“Braccialetto con campanellini attira angelo custode”
“Troppo religioso”
“Pinocchietto stile anni '60 con tasche a sbuffo”
“Troppo vintage”
“Smalto per unghie effetto madreperlato”
“Troppo cosmetico”
“Occhiale da sole con montatura colorata e strass”
“Troppo Mughini”
“Cappello in paglia a tesa larga con coroncina di fiori secchi”
“Troppo bucolico”
“Pochette in vernice con borchie e zip argentata”
“Troppo fashion”
“Infradito in corda e cuoio con impunture a vista”
“Troppo stilose”
“Un bel vaffanculo incartato con amore?”
“... il foulard è di Hermès?”

venerdì 4 luglio 2008

Domanda

Martedì di un mese imprecisato
Oggi mi sono cadute le impronte digitali. Le ho trovate sparpagliate un po' ai piedi del letto e un po' tra le lenzuola. Solo... ne manca una. Quella dell'anulare sinistro. Dev'esserci qualcosa di significativo, in questo. Che l'abbia mangiata durante la notte? Eppure non sento nessuno strano sapore in bocca. Le impronte dovrebbero avere un sapore molto particolare, che so? Di francobollo, per esempio. La parte stampata, però, non quella con la colla.

Il giorno dopo martedì, stesso mese
Dopo la perdita di tutta la peluria, i pori si sono chiusi. Adesso sono liscio, senza imperfezioni. Ovunque io passi la mano sento solamente questa superficie morbida e vellutata. Spariti anche i nei e le piccole cicatrici che mi ero fatto in tutti questi anni. Oddio, e se poi sudo?

Giovedì o venerdì o sabato o domenica
L'infermiere non mi ha visto. E' entrato, ha appoggiato le pastiglie sul comodino, assieme al bicchiere pieno d'acqua ed è uscito. Naturale, mi sono mimetizzato con la parete! Adesso ho capito come ci si sente nella parte del camaleonte: la parete è bianca, io sono bianco. Avevo gli occhi azzurri, una volta. Il bianco gli dona uno strano bagliore, adesso. Beh, in effetti posso solo immaginarlo perché non ho specchi, qui, ma se ce ne fosse uno riuscirei a mimetizzarmi anche in quello.

Un giorno
Lo sapevo, prima o poi doveva succedere. Non ho più né pene né palle. Stanotte sono andato a far pipì e stamattina non li avevo più. Li ho cercati dappertutto ma non li trovo! Accidenti a me e a quando ho deciso di mimetizzarmi. Qui è tutto bianco: pareti, letto, comodino, armadietto, asciugamani, sanitari! Il bianco è alienante. C'è da impazzire!

Oggi
Che fatica scrivere con la bocca. O con quello che ne rimane. Ho perso le mani, i piedi, gli avambracci e le gambe, fino alle ginocchia. Sono scomparse le palpebre, le orecchie e il naso. Fortunatamente in queste condizioni non ho bisogno di respirare, altrimenti sarei già morto. Credo di non avere nemmeno più gli organi interni. Prima, nel silenzio totale, ho sentito che non ho più il battito cardiaco. Poco male, si vede che non era importante. Ma le labbra... perché quelle restano?

...
Ma quando si è morti, si continua a pensare?

martedì 20 maggio 2008

C'era una volta...

... un uomo che non sapeva niente e di niente.
Non aveva sapore, non aveva sentore, non aveva profumo, non sapeva di non averne e via discorrendo.
Non aveva nemmeno mai imparato a leggere perché nessuno gliel'aveva insegnato o anche solo comunicato, quindi, quando si trovò al bivio, non lesse i cartelli e non seppe che strada prendere. Però, conscio di non sapere, prese una strada a caso, che tanto sarebbe andata bene come quell'altra e nel caso in cui avesse sbagliato, sarebbe tornato indietro ed avrebbe preso quell'altra.
Ma lui questo non lo sapeva.
Camminò molto per una strada che non sapeva come si chiamasse e gli vennero sete e fame. Non sapendo leggere, non capì cosa c'era scritto sull'insegna della Trattoria da Mario e quindi proseguì.
Camminò molto e gli venne sonno, ma non sapendo leggere non capì cosa c'era scritto sull'insegna "Hotel de Charme" e proseguì dritto per la sua strada.
Camminò ancora e ancora, tanto che gli si bucarono le suole delle scarpe e non sapendo leggere non capì cosa c'era scritto sull'insegna del ciabattino.
Continuò a camminare finché arrivò ad un incrocio. Non sapeva leggere, però vedeva i colori. Non sapeva dargli un nome, però gli piaceva il colore del fuoco, quindi quando vide il semaforo rosso gli corse incontro e un tir lo stirò.
Così fu che morì.
Ma lui non lo sapeva, quindi non se ne accorse.

mercoledì 7 maggio 2008

Sei un perfetto naziskin?

Dlin Dlooooon...

"... è permesso?"
"Alt! Farsi riconoscere!"
"Manlio Rughini"
"Italiano o ebreo?"
"Italiano"
"Ok, entra pure"
"Grazie. Senta, è qui che si diventa naziskin?"
"Certo, ragazzo"
"Beh, ragazzo... ho già 38 anni..."
"Non è mai troppo tardi per diventare naziskin. Mio nonno, che è stato prima comunista, poi socialista, poi leghista, adesso è un naziskin"
"Cavoli... e come ha fatto a convincersi?"
"L'ho preso a sprangate..."
"Capisco. Ecco, io vorrei diventare naziskin"
"Bene, compiliamo il test di personalità... Fumi?"
"No"
"Ahi... non è una buona partenza, eh?"
"E' che soffro di asma, quindi..."
"Capisco. Seconda domanda: quanti gay hai bastonato nell'ultima settimana?"
"Ecco, veramente io... non ho mai bastonato nessun gay"
"Come mai?"
"Beh... non mi hanno mai fatto niente di male..."
"E ti sembra un motivo valido? E' incredibile come l'ignoranza regni sovrana... Terza domanda: ti piace portare i capelli molto rasati?"
"In realtà a me piacciono così, vede? Col ciuffo che cala sull'occhio sinistro, che mi dà un'aria tra il dandy e il misterioso"
"Non c'è problema, a quello pensa Cranio, il nostro parrucchiere di fiducia. Quarta domanda: possiedi un pugno di ferro o una spranga in acciaio temperato?"
"Veramente ho solamente questo anello d'oro con rubino incastonato..."
"Scusa, e come credi di entrare fra gli squadristi se non hai nemmeno un oggetto contundente?"
"Ma perché, bisogna proprio menarsi in qualsiasi situazione?"
"Le situazioni non mancano e in caso mancassero si inventano"
"Capisco..."
"Quinta domanda: hai parenti che millantano un passato in presunti lager nazisti?"
"Ho un nonno che ogni tanto racconta di esserci stato"
"Diamine, ancora esiste gente che va in giro a raccontare queste balle?"
"Veramente mi ha anche fatto vedere il numero tatuato sull'avambraccio"
"Ingenuo! Non lo sai che ci sono questi bugiardi, facenti parte di una setta che tende a minare il buon nome dei naziskin, che si ritrovano ogni tanto in posti lugubri e si tatuano da sè?"
"Ma... ne è sicuro? Io ho anche visto i filmati alla televisione... milioni e milioni di deportati..."
"Quelli sono i documentari della DreamWorks: è tutto realizzato con tecnologia digitale, se li osservi attentamente scoprirai che tutti gli omini sono identici e vengono ripetuti dappertutto per far credere ai boccaloni come te che i nazi abbiano operato uno sterminio di massa!"
"Accidenti, ma tu guarda la tecnologia moderna..."
"Ultima domanda, sei come il numero del diavolo che veneriamo come nostro unico parente prossimo: ti piace indossare giubbotti in pelle, anfibi con punta rinforzata in metallo e cinture borchiate con fibbia rappresentate il simbolo nazista?"
"Ecco... normalmente preferisco i maglioncini di cachemire, i mocassini fatti a mano in ecopelle non trattata e un cappottino di lana cotta pluristagionale. In primavera opto per camicie di seta con colletto personalizzato e cifre ricamate sul taschino, bermuda o pantaloni cachi, sahariana in lino pettinato e infradito in cuoio del commercio equo e solidale. Durante le frescure estive e tardo autunnali mi piace indossare cardigan bicolori in teneri colori pastello e non disdegno un foulard in tinta, in seta o raso cangiante. Gli stivali li preferisco in inverno perché d'estate ho paura che mi sudi il piede e non vorrei puzzare. Ecco perché uso acqua di colonia non testata sugli animali e mi lavo con sapone naturale a base di carbone fossile ed essenze vegetali. Idrato la pelle con creme lenitive ed ammorbidenti e mi espongo al sole con una protezione alta ad inizio estate e proseguo con una protezione 3 una volta che la pelle ha preso colore. Frequento spesso una beauty farm per uno scrub corporale completo, fanghi, idromassaggi in vasca singola con essenze esotiche, docciaterapia colorata con effluvi alla menta piperita, notevolmente rinfrescante dopo la sauna. Bevo tisane sgonfianti e disintossicanti, mi nutro con prodotti derivati da colture biologiche, prevalentemente verdure, frutta e formaggi di capra, più digeribili e meno grassi. Non bevo caffè, non fumo, non prendo superalcoolici, bevo birra e vino moderatamente e mai in settimana e mi tengo in forma facendo jogging e pilates. Ho un cane di nome Jeremy e una gatta di nome Nuvoletta. Mia madre fa la stilista e mio padre è dirigente alla ERG. D'estate vado in vacanza alle Barbados, o alle Fiji o alle Maldive, quando non siamo in crociera con il tre alberi di papà, mentre d'inverno ci spostiamo spesso tra Curmayeur, Saint Moritz e la Costa Azzurra. Ho una fidanzata fissa e un'amante, ma questo lo sappiamo solo io e lei, mi raccomando"
"..."
"..."
"..."
"... che c'è?"
"Credi sia possibile farsi adottare?"

( Nicola Tommasoli... il mio pensiero è con te )

mercoledì 12 marzo 2008

Che miscela?

“Buongiorno”
“Buongiorno, desidera?”
“Un decaffeinato, per favore”
“Scusi?”
“Un caffè decaffeinato”
“Qui?”
“No, fuori. Scusi, questo non è un bar?”
“Non proprio, questa è una torrefazione”
“E non servite il caffè al banco?”
“Certamente”
“Bene, allora vorrei un caffè decaffeinato”
“Ma perché proprio qui, scusi? Noi siamo una torrefazione!”
“Ha ragione, forse dovrei andare in macelleria…”
“Non intendevo quello, intendo dire… Lei entra in una torrefazione e chiede un decaffeinato?”
“Sì, che male c’è, scusi?”
“Che male c’è? Glielo spiego subito: uno si sbatte in mille modi per proporre i caffè più buoni, aromatici, particolari, li va a scegliere nei luoghi specifici di coltivazione e produzione, li seleziona, li assaggia, ne testa la qualità, la fragranza, il sapore perché vuole offrire il meglio ai suoi clienti… e lei mi chiede un decaffeinato?”
“Sì. Il caffè normale non posso berlo”
“Perché?”
“Perché mi fa male”
“Allora non lo beva per niente”
“A prescindere che se esiste il decaffeinato non vedo perché non dovrei berlo, ma lo bevo anche perché mi piace, altrimenti berrei quello d’orzo, che però non mi piace perché mi sembra di bere la sciacquatura dei piatti…”
“Il nostro caffè non fa male. Tutti i nostri caffè provengono da coltivazioni selezionate”
“Hanno la caffeina?”
“Beh, chiaro!”
“Allora mi fanno male”
“Scusi, ma anche il decaffeinato contiene caffeina”
“Impossibile”
“No, invece. In minima parte ma ne contiene”
“Ne è sicuro?”
“Scherza? Sono un esperto, è il mio lavoro”
“Quindi se ne bevessi, diciamo… 10 al giorno è come se bevessi del caffè normale?”
“Chiaro che sì. Quanti ne beve al giorno?”
“Circa una qwndscn”
“Eh?”
“Una quindicina…”
“Bravo. E poi viene da me, nella mia torrefazione, a dirmi che il caffè normale le fa male…”
“A me hanno sempre detto che il decaffeinato non fa male”
“Allora se le dicono che farsi investire da un pullman non fa male lei si fa investire?”
“Che discorsi, qui si parla di alimenti…”
“No! Non di alimenti. Di bevande”
“Quanto la fa lunga…”
“Io? E’ come se andassi da Bulgari a chiedere della bigiotteria, mi scusi!”
“E va bene, allora mi dia un caffè”
“Come?”
“In che senso? Un caffè, nella tazzina, col suo bel cucchiaino…”
“Non ha capito. Come lo vuole, di che specie? Arabica, Robusta, Liberica, Excelsa, a chicco grande, medio, piccolo, a tostatura prolungata, intensa, lenta, macinato fine, medio, grosso…”
“Senta, io voglio solo un caffè. Volevo un decaffeinato, mi ha convinto a bere un caffè normale, adesso decida lei, mi fido, tanto sono ignorante in materia, quindi…”
“Qui la volevo! Infatti io sono qui proprio per questo, per erudirla, per illuminarla, per farle bere il miglior caffè che lei abbia mai bevuto in vita sua”
“E allora me lo faccia, no? Quante storie… e già che c’è me lo macchi con latte di soia. Freddo”
“… il decaffeinato lo vuole lungo o ristretto?”

mercoledì 27 febbraio 2008

Date ai poveri...

"Scusi, è questa la mensa dei poveri?"
"Fratello, vedi forse in giro Briatore e i suoi amici?"
"Ehm... chi?"
"Niente, sei nel posto giusto"
"Allora posso avere da mangiare?"
"Certamente fratello. Come primo piatto abbiamo penne al pomodoro e pasta e fagioli"
"Credo che prenderò delle penne, perché sento che la pasta e fagioli ha avuto un certo successo, oggi"
"In che senso?"
"Niente, niente... le penne si possono avere solo al pomodoro?"
"Nooooooooooo... certo che no... Abbiamo il sugo all'aragosta, una crema di porcini e tartufo oppure un sughetto di scampetti e moscardini"
"Ah. Non mi piace il pesce, però..."
"Allora te le condisco col pomodoro, occhei?"
"Ok. E di secondo cosa avete?"
"Pollo in umido, bollito di manzo, sogliola stufata"
"Mi sembra un po' il menù di un ospedale"
"Fratello, non è che tu sia messo tanto bene, eh?"
"Non è carino farmelo notare"
"E non è carino venire a sputare nel piatto in cui mangi"
"Mica ho sputato io!"
"Era un modo di dire..."
"E soprattutto non ho ancora mangiato"
"Nessuno ti punta una 44 magnum alla tempia, fratello"
"... pollo"
"A chi? A me?"
"Ma no, prendo il pollo. Contorni?"
"Carote lesse, spinaci bolliti, patate in insalata"
"Non mi farà male tutta questa roba bollita?"
"Probabilmente sì, Come è anche probabile che ti faccia più male un pullman che ti investa appena esci da qui"
" ... posso avere un tris di contorni?"
"No"
"Allora patate, grazie"
"E' un piacere servirti, fratello"
"Non vorrei sembrare esigente ma... per caso ci sarebbe anche un dolcino?"
"Ma certamente! Purtroppo abbiamo finito la Saint-Honoré e la crostata ai frutti di bosco con crema chantilly, quindi non posso darti altro che una semplice panna cotta"
"Con o senza caramello?"
"Senza"
"Ok. Ho sempre amato la panna cotta senza caramello..."
"Chissà perché non avevo dubbi"
"Immagino che abbiate anche qualcosa da bere, giusto?"
"Fratello, ti pare che ti lasceremmo andar via a bocca asciutta?"
"Con tutta 'sta roba bollita non credo proprio, comunque... cosa propone la casa?"
"Vediamo... con le penne ci vedrei bene un Brunello di Montalcino, atto ad esaltare il sapore asprigno del pomodoro donando quella sfumatura dolciastra che ben si abbina ad un grano maturo. Per il pollo, carne molto simile alla selvaggina, direi che l'accostamento ideale è un Cannonau del 2003, forte, potente, dall'aroma marcato che nelle note di coda si stempera in un sapore fruttato e leggero, mentre per il dolce direi che l'ideale è un Passito di Pantelleria"
"E col contorno?"
"Acqua"
"L'acqua fa ruggine"
"Non credo che ti ucciderà"
"Come fa a saperlo? Metta che sono allergico?"
"All'acqua?"
"Sì"
"Ah, beh, allora devo assolutamente toglierti dal vassoio la pasta al pomodoro, il pollo lesso e la panna cotta"
"E le patate?"
"Giusto, anche quelle"
"Sono un idiota, vero?"

martedì 29 gennaio 2008

Bus 12

“Scusi, è già passato il 12?”
“Non lo so, sono appena arrivato anche io”
“Sa dirmi a che ora passa?”
“No, ma guardi, lì c’è appeso l’orario, quindi può vederlo da sè”
“Ci guarderebbe lei, per favore? Son senza occhiali”
“Uhm... certo. Vediamo... passa alle 15,47”
“E adesso che ore sono?”
“Le 15,33”
“Cavoli... quanto manca?”
“Se la matematica non è un’opinione, dovrebbero mancare 14 minuti”
“Così tanto?”
“Non li ho decisi io, gli orari”
“Speriamo non sia in ritardo...”
“Già”
“Ma lei è molto che aspetta?”
“No, come le dicevo, sono appena arrivato”
“Non può essere appena arrivato, scusi. Era già qui quando sono appena arrivato io”
“Allora sono arrivato da un paio di minuti...”
“E non ha visto passare il 12?”
“No, non l’ho visto, altrimenti avrei corso per prenderlo al volo”
“Ma lei ci vede bene?”
“Benissimo, perché?”
“Perché magari non l’ha visto e l’ha perso anche lei”
“A prescindere che un pullman è difficile non vederlo anche per un miope, ma foss’anche l’avessi perso non vedo quale sia il problema”
“Non ha fretta?”
“No”
“Strano”
“Perché?”
“Perché al giorno d’oggi hanno tutti fretta. Come mai lei no?”
“Perché faccio le cose con un certo anticipo, quindi non ho bisogno di scapicollarmi”
“Quindi lei sapeva che il 12 passava alle 15,47”
“Più o meno sì”
“E allora perché più o meno ha dovuto guardare l’orario quando gliel’ho chiesto?”
“Perché volevo darle una risposta sicura, esatta”
“Altrimenti non era sicuro nemmeno lei?”
“Teoricamente sì, ma avrei potuto dirle un orario sbagliato di un paio di minuti in più o in meno”
“Quindi per lei non fanno differenza un paio di minuti in più o in meno?”
“Senta, ma questo cos’è, un terzo grado?”
“No, certo che no. Si fa così, per parlare...”
“Beh, mi pare che abbiamo già parlato abbastanza, no?”
“Certo, certo... può dirmi che ore sono, adesso?”
“... le 15,39”
“... E sa mica dirmi qual’è la fermata di Piazzale Siena?”
“Sì”
“... Sì, ma.. qual’è?”
“Promette che poi non mi chiederà più nulla?”
“Promesso”
“E’ la settima partendo da qui”
“Ma la settima compresa questa o la settima da quando partiamo?”
“... la settima FERMATA da quando partiamo”
“Quindi da quando salgo sul 12 devo contare sette fermate, giusto?”
“Giusto”
“E se il pullman ne salta una?”
“Allora è meglio che chieda all’autista”
“Ma all’autista non si può parlare. Deve guidare, lui!”
“Senta non so cosa dirle, si sieda vicino a qualcuno e se lo faccia dire, no?”
“Già, giusto”
“...”
“... ma lei prende il 12?”
“No, io sono qui a perdere un po’ di tempo, visto che sono in anticipo e non ho niente di meglio da fare”
“Ah, beato lei. Io devo andare all’INPS”
“Capisco”
“Sa, per una pensione”
“Ma va?”
“Già. Devo fare un consulto per vedere quanto mi daranno di pensione e quando”
“Non mi dica...”
“Ormai gliel’ho detto”
“Intendevo... lasci perdere”
“Ho appuntamento alle 16 precise col funzionario”
“Eh, i funzionari son precisi, eh?”
“Già. Non voglio mica arrivare in ritardo...”
“Capisco...”
“Che ore sono?”
“E’ ora di comprarsi un orologio...”
“Ce l’avevo. Quello che mi hanno regalato quando sono andato in pensione, ma si è rotto”
“Uhm...”
“Allora mi può dire che ore sono?”
“Uffaaaaaaaaaaaa... sono le 15 e 44...”
“Allora a momenti dovrebbe essere qui!”
“Sì, fra tre minuti”
“Più o meno...”
“No, precisi”
“Anche adesso?”
“Adesso quando?”
“Adesso. Saranno già passati almeno trenta secondi, no?”
“Senta, io mi incammino a piedi...”
“Perché? Tra due minuti, più o meno, il bus sarà qui”
“Non importa, è una bella giornata, mi è venuta voglia di fare 4 passi e poi non ce la faccio più a rispondere alle sue domande assurde”
“Emmammamia, che caratterino! Vada, vada... Che tempi! Non si può più scambiare quattro chiacchiere nemmeno alla fermata del bus...”
“Quattro chiacchiere? Mi ha fatto ventimila domande, è senza occhiali, senza orologio, devo spiegarle per filo e per segno cose che dovrebbero essere ovvie anche ad un bambino delle elementari e quello col “caratterino” sarei io?”
“Sta arrivando il 12”
“Bene, lo prenda”
“Se permette, lo decido io se prenderlo o meno”
“Decida in fretta, perché altrimenti lo prendo io”
“Se lo prende lei allora io non ci salgo”
“Benissimo”
“Benissimo”
“...”
“...”
“...”
“...”
“Scusi... cosa c’era scritto sul display?”
“Fuori servizio...”

lunedì 28 gennaio 2008

Chiarezza

"Allora... grazie per la bella serata"
"Aspetta! Non mi chiedi di salire?"
"Perché?"
"Per bere qualcosa, no?"
"Fammi capire... dopo due Margarita, una Guinnes, due Ceres e il chupito della staffa, tu avresti ancora sete?"
"No, ma... dai, è la classica formula. Lei chiede a lui se vuole salire a casa un attimo per un caffè..."
"Tu non bevi caffè"
"Potrei cominciare stasera"
"Ma io non ho caffè. Bevo solo tisane"
"Uhm... di che genere?"
"Disintossicanti e depurative. Tarassaco, finocchio, betulla..."
"Capisco. Nemmeno un caffè d'orzo, un decaffeinato...?"
"No. Non bevo quella roba lì, io"
"Beh, ma allora non so... un bicchier d'acqua"
"Finita"
"E come fai con le tisane, allora?"
"Le bevo da mia madre"
"Vabbè, come la fai lunga... Facciamo così, perché non saliamo un attimo da te?"
"Perché?"
"Per stare un po' insieme, no?"
"Perché, fino ad ora cosa abbiamo fatto?"
"Sì, vabbé, ma io intendo... insieme INSIEME..."
"Lo abbiamo appena fatto, LO ABBIAMO APPENA FATTO"
"Uff... che fatica che si fa con te. Intendevo stare insieme "da soli" "
"Lo stiamo facendo. Siamo qui, in macchina, da soli"
"Ma da te è più comodo! Qui fa freddo..."
"Io non ho freddo"
"Ma sai che sei davvero una ragazza strana?"
"Perché?"
"Cioè, voi donne avete sempre un gran freddo e l'unica che invece non ce l'ha, l'ho trovata io?"
"Ho il metabolismo veloce"
"E io gli ormoni a stantuffo"
"Cavoli, è grave?"
"No, mi procura solo un po' di gonfiore che con qualche massaggio però scompare"
"E dove vai a farti fare i massaggi?"
"Speravo me ne facessi uno tu..."
"Ah, io non sono capace"
"Tu non sei molto perspicace, eh?"
"Cosa intendi?"
"Scusa, dimenticavo che sei bionda. Allora non si sale, giusto?"
"Giusto"
"Però mi scapperebbe la pipì..."
"Beh, sono le due di notte, non passa nessuno e lì c'è una bella siepe rigogliosa"
"Ma nel tuo bagno sarebbe più comodo"
"Dimentichi che non ho l'acqua"
"Eh? E tu come fai?"
"Vado da mia madre"
"Ma dove vivi, al colosseo?"
"No, lì, al 23"
"Lo so, era per dire... Ma almeno un letto ce l'hai?"
"Sì, ho un letto ad acqua"
"Stai scherzando..."
"Assolutamente no"
"E com'è? Comodo?"
"Insomma... diciamo che bisogna abituarsi"
"Me lo faresti vedere?"
"Perché?"
"Non ne ho mai visto uno da vicino..."
"Perché, da lontano sì, invece?"
"Sì... credo di sì"
"Beh, è uguale, solo che da vicino è più grande"
" ... Non credevo sarebbe stato così complicato... Cioè, intendo dire... mi sembrava di piacerti"
"E' vero"
"Allora come mai è così difficile farsi invitare a casa tua?"
"Ma perché? Per cosa?"
"Te l'ho detto, per stare un po' insieme da soli!"
"Ma lo stiamo già facendo!"
"Intendo più intimamente!"
"Ma più intimamente che in una Smart non saprei come!!!"
"Mamma mia... non c'è verso. Vabbé, senti, mi è venuto mal di testa, è meglio che vada"
"Mal di testa? Fra tutti gli uomini che ci sono al mondo l'unico che si inventa il mal di testa l'ho trovato io?"
"Per forza, scusa... è mezz'ora che ti chiedo di salire a casa tua però prima non hai il caffè poi non hai l'acqua però bevi le tisane ma a casa di tua madre dove peraltro vai anche ad espletare i bisogni fisiologici dormi in un letto ad acqua che non si sa come riempi perché in casa di acqua non ne hai... mi pare che ci siano tutti gli elementi per capire che stasera non si fa all'amore!"
"Bastava chiedere"
"L'ho fatto!"
"Non mi pare. Prima mi hai chiesto di salire per un caffé, poi per un bicchier d'acqua, poi per fare pipì, poi per vedere il mio letto, ma non mi hai mai detto che volevi salire per fare all'amore! E' vero o no?"
"Ti va di fare all'amore?"
"Non vedevo l'ora che me lo chiedessi"
"Si sale da te?"
"Perché?"
"..."