lunedì 3 dicembre 2007

Intolleranze

“Salve, avrei bisogno di fare il test sulle intolleranze”
“Certamente. Innanzitutto compiliamo il modulo: nome e cognome?”
“Umberto Galimberti”
“Età?”
“48”
“Peso?”
“82 chili”
“Altezza?”
“1,80”
“Bene. Quando ha scoperto di essere intollerante?”
“Quando ho scoperto che non mi piacciono i gay”
“Scusi?”
“Non tollero i gay”
“Mi scusi, ma questo è un ambulatorio, non lo studio di uno psicologo”
“A me hanno detto che visto tutte le intolleranze che ho, avrei dovuto fare il test”
“Ma qui si parla di intolleranze alimentari o prodotte da elementi esterni come la polvere eccetera”
“Eh, appunto. I gay sono elementi esterni, non li tollero proprio. Così come non tollero i drogati”
“Senta, scusi, non ci siamo...”
“Come no? Io e lei siamo qui, noi ci siamo”
“No, intendo dire, non ci siamo col ragionamento”
“Ah, perché, lei coi drogati riesce pure a ragionare?”
“No, intendo dire...”
“Vede? Nemmeno lei ci riesce. Per non parlare dei lavavetri. Non li sopporto proprio”
“Senta, le spiego: qui si tratta di esami medici...”
“Uh, i medici, un altra categoria che non tollero! Che ormai vai dal medico e nemmeno ti visita più, scribacchia qualcosa e tanti saluti e grazie. Poi però devi pagare il ticket per le medicine e il resto...”
“Allora, adesso cerco di spiegarmi meglio...”
“Uuuuuuuuuuuh, guardi, glielo dico, i saputelli non mi sono mai piaciuti!”
“Ma che saputelli e saputelli, sto solo facendo il mio lavoro!”
“Ecco, anche quelli che ti fanno sentire inferiori! Brutta razza”
“Senta, mi ascolti, ora le spiego: questo è un ambulatorio medico, facciamo analisi del sangue, ha presente?”
“Sì. Non sono stupido, so leggere le targhette sulle porte”
“Ecco, appunto. Le intolleranze di cui parlo e di cui ci occupiamo qui, sono quelle derivate da cibi o corpuscoli estranei che...”
“Gli estranei! Altra roba che non tollero: chi è tutta questa gente che viene qui nel nostro paese, non sanno nemmeno parlare l’italiano e ci portano via le case, il lavoro e le donne?”
“Non parlo di quegli estranei, parlo di sostanze nocive, di alimenti”
“Ah. Ecco. Beh, non sopporto il fegato”
“Oh, finalmente cominciamo a capirci. Che sintomi le dà il fegato?”
“Niente, quando lo vedo dal macellaio mi viene il vomito”
“Intendo dire quando lo mangia”
“Mangiare? Io il fegato non lo mangio. Solo l’odore mi fa venire la nausea”
“Ma allora non è intollerante al fegato”
“Come no? Meno lo vedo e meglio sto”
“Capisco. Senta, allora... ci sono due diversi modi di essere intolleranti, uno dovuto agli alimenti e uno dovuto a fattori esterni”
“Non conosco fattori esterni, abito in città e in campagna non ci vado mai”
“Senta, lei mangia?”
“Certo, altrimenti a quest’ora sarei morto, no?”
“Bene, ne sono convinta anch’io, anche se a volte una bella dieta drastica non guasterebbe”
“Insinua, forse?”
“Giammai, ci mancherebbe. Quindi, dicevamo, lei mangia”
“Sì, tre volte al giorno”
“Ecco. E non c’è qualcosa, tra quello che mangia, che magari la fa star male?”
“Uhm, vediamo... Ah, sì, il latte”
“Perfetto”
“Perfetto un corno. Quando bevo il latte appena tolto dal frigo poi devo subito correre in bagno”
“Tralasciamo il latte, allora. Qualcos’altro che le fa male?”
“Il fegato”
“Ma mi ha appena detto che non lo mangia”
“Vero, ma lei mi ha chiesto cosa mi fa male. A me fa male il fegato”
“Non intendevo... male nel senso che sta male se lo mangia”
“Ma allora è dura di comprendonio, eh? Gliel’ho detto prima che non lo mangio!”
“... Senta, facciamo prima a fare così: mi dica tutto quello a cui è intollerante e io compilo la scheda, poi le dirò cosa fare”
“Allora, vediamo... a parte i drogati, i gay, i medici, i finti tonti, i saputelli, i superbi, gli estranei, il fegato e il latte, non tollero minimamente chi in macchina cerca di superarti a tutti i costi, chi ti ruba il posto in fila alla cassa, chi si mangia le unghie, chi fischietta, chi ti legge il giornale mentre sei sull’autobus, chi non strizza bene il tubetto del dentifricio, chi parla a voce alta al telefono, i ragazzini che si baciano al parco, la mia dirimpettaia che stende le sue mutande sul balcone, il tizio del terzo piano che torna alle tre di notte e sbatte il cancello, i bambini che giocano a palla in cortile, il puzzo del ristorante cinese sotto casa, i cinesi, i russi, gli arabi, gli africani in genere, buona parte dei filippini, i meridionali, quelli del rione di fianco al mio, tutti i condomini del palazzo di fronte, i miei colleghi, il panettiere all’angolo, il carrozziere, la parrucchiera e le sue aiutanti, la bidell...”
“Senta, scusi, mi è venuto un crampo alla mano. Facciamo una cosa, può dirmi cosa tollera? Forse facciamo prima”
“Ok, allora... dunque... vediamo... Ce l’ho, eh? Adesso mi viene in mente. Sì, dunque, uhm... eppure mi sembrava di ricordare che nel ‘79... Ah, sì, ecco, ce l’ho! I chewing-gum alla menta piperita”
“I chewing-gum alla menta piperita?”
“Già”
“Capisco. Eh, beh... è gravissimo. Terribile. Non so come dirglielo”
“Cosa?”
“Vede... oddio, non so proprio da dove cominciare”
“Che c’è? Parli... non mi faccia stare in ansia”
“Sì, sùbito. Il fatto è che... la menta piperita...”
“... Sì?”
“E’ velenosa”
“Velenosa? Come sarebbe a dire, velenosa? E’ dalla tenera età di 4 anni che mangio chewing-gum alla menta piperita”
“Mio Dio, è più grave del previsto, allora!”
“Cosa? Come? Chi?”
“Non so se si salverà”
“Ma chi, io? Perché? Che succede, me lo dica!”
“La menta piperita ha degli effetti collaterali terribili...”
“Oddioddioddio... cosa posso fare? Avete un rimedio?”
“Mi faccia pensare... sì, un rimedio ci sarebbe”
“Sia lodato il signore, quale?”
“Queste supposte”
“Supposte?”
“Sì. Sono l’unica arma vincente per debellare gli effetti devastanti della menta piperita”
“Ma sono enormi!”
“Preferisce morire?”
“No, ma... le devo inserire tutte intere o posso spezzarle?”
“Intere. Tre al giorno. Mattina, pomeriggio, sera”
“Tre al giorno?”
“Sì”
“Per quanto tempo?”
“Finché non le passeranno tutte le intolleranze”
“...”
“...”
“Sa mica se le passa la mutua?”

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