venerdì 12 ottobre 2007

Pausa

La sua ultima notte di lavoro accese le macchine alle ventidue e trenta in punto e programmò il timer per le sette e trenta del giorno successivo. Come tutte le sere da quando un anno prima, per libera scelta, si era fatto assegnare al turno di notte. Cinque giorni continuativi e uno di riposo assoluto. A chi gli chiedeva una spiegazione, opponeva un silenzio divertito. Non c’erano spiegazioni. Così come non c’entravano niente con la sua decisione gli alti straordinari, il pingue premio annuale di produttività, eventuali delusioni amorose, crisi religiose, timore di disoccupazione e via dicendo.
Il fatto è che una mattina, improvvisamente, aveva provato una voglia feroce di assentarsi. Di scomparire.
La notte l’aveva accolto. Nella notte aveva trovato un rifugio materno. La notte gli aveva insegnato l’orgoglio della propria solitudine e instillata la pena per la banalità degli altri. La notte lo aveva tenuto lontano dallo spasmodico ringhiare degli ordinati ranghi.
Ma ora, altrettanto improvvisamente, si era reso conto di quanto poco, in realtà, sapeva della notte.
Era giunto il momento delle presentazioni, signora notte.
Con un ultimo sguardo ai macchinari che ronzavano indifferenti sotto il pallido riflesso dei neon, si sfilò i guanti e aprì la porta che dava sulla notte.
L’aria frizzante accarezzò la pelle del suo viso ed un piacevole brivido gli percorse la spina dorsale. Provò, per un impercettibile istante, la consapevolezza di sentirsi vivo, di respirare l’energia del mondo. Istintivamente la sua mano corse alla tasca destra della tuta da lavoro, ma il vuoto fu l’unica cosa che le sue dita strinsero. Restò un istante così, perplesso, si voltò in direzione delle macchine per assicurarsi che tutto fosse a posto poi con indolenza si incamminò per lo stradone.
La notte era estaticamente silenziosa. Il caotico baccano del traffico mattutino aveva lasciato il posto ad un concerto di suoni nuovi. Era da tempo che non prestava ascolto al silenzio, quello vero, quello fatto di fronde mosse dal vento e di grilli.
Così, assorto nell’ascolto di quei suoni quasi dimenticati, raggiunse il distributore di benzina all’angolo e si diresse verso il distributore automatico di sigarette.
L’ampio spazio davanti alla struttura bassa e ormai scrostata era illuminato quasi a giorno. Il neon blu e rosso della scritta “Free Shop” produceva un fastidioso ronzio quando la scritta Free scompariva e riappariva, ad intermittenza.
All’interno del negozio, seduto sull’alto sgabello dietro alla cassa, la testa penzoloni sul petto e la schiena appoggiata allo scaffale, il benzinaio dormiva profondamente, cullato probabilmente dal sottofondo musicale della filodiffusione.
Si fermò davanti al distributore di sigarette e con un dito ne scorse l’elenco. C’era qualcosa che gli sfuggiva, ma non ebbe il tempo di capirlo perché un rumore lo distrasse.
Un’auto sopraggiunse sgommando e frenò davanti ad una delle pompe con uno stridio di gomme, fermandosi miracolosamente poco prima della colonna d’erogazione del carburante.
Lui, le spalle rivolte al distributore di sigarette, aveva osservato la scena con aria quasi indifferente. Dovevano essere i soliti ragazzi troppo giovani e troppo ubriachi, a cui un genitore troppo incosciente aveva dato il permesso di usare una macchina troppo potente e di cui si sarebbe letto sempre con troppo rammarico il giorno dopo nelle colonne di cronaca di un quotidiano.
Il motore si spense e l’auto fece un piccolo balzo in avanti. La portiera del lato guidatore si spalancò e ne uscì una ragazza bionda che la richiuse dietro di sé con violenza. Passando dietro all’auto si diresse verso la colonnina del self service, poi si accorse della sua presenza.
“Mi faccia il pieno, per favore, e in fretta!” esclamò nervosamente.
“Ma… io…” balbettò sottovoce. Poi, voltandosi verso la finestra del negozio dall’insegna sfrigolante, si accorse che il benzinaio non si era accorto di nulla e che stava tranquillamente continuando a dormire.
Tornò ad osservare la ragazza bionda, che aveva appoggiato la schiena alla colonnina del self service e si stava asciugando gli occhi. Si voltò di nuovo verso di lui.
“Allora, è sordo? Vuole farmi questo maledetto pieno?” La voce della ragazza si alzò di tono, risultando quasi stridula.
Con riluttanza lui si diresse verso la pompa più vicina all’auto. Quando passò di fianco alla ragazza, questa sgarbatamente gli mise in mano le chiavi dell’auto. Nel prenderle lui si soffermò per un attimo ad osservarla. Poteva avere al massimo trent’anni, ma il trucco sbavato e gli occhi arrossati le davano un aspetto molto più adulto e più vissuto.
“Cos’ha da guardare?” gli domandò sollevando il mento, in un gesto quasi di sfida.
“Nulla, nulla. Mi domandavo… se per caso ha bisogno di aiuto…” adesso aveva capito: la sua tuta blu col marchio dell’azienda inscritto nell’ovale rosso lo faceva somigliare ad un benzinaio. Facile equivocare.
“Faccia il pieno e non s’immischi” fu la secca risposta della ragazza, che si mise a frugare nella borsetta, ignorandolo.
Lui svitò il tappo del serbatoio dell’auto e, dopo aver prelevato la pistola della benzina verde, azionò il dispositivo. Da cosa stava scappando quella ragazza? Cosa aveva generato la sua sofferenza? Per chi stava versando quelle lacrime? Si accorse di porsi queste domande istintivamente, ma si rese anche conto di non desiderare una risposta. La pompa si bloccò; estrasse la pistola e la rimise nella scanalatura. Il display segnava 48,76 euro.
Quando si voltò verso la ragazza, questa gli porse una banconota da 50 euro e si diresse velocemente verso il posto di guida.
“Aspetti… e il resto?” le domandò seguendola, ma lei aveva già messo in moto ed era ripartita sgommando.
Il rombo dell’auto si perse nel buio della notte. Tutto tornò silenzioso come pochi istanti prima. Di nuovo il verso dei grilli, di nuovo il sospiro del vento. Di nuovo il ronzio fastidioso dell’insegna intermittente.
Abbassò lo sguardo sulla banconota che aveva in mano. Stette un poco ad osservarla poi rialzò il viso e si diresse verso il negozio. Entrò senza far rumore ed infilò delicatamente la banconota nel taschino della tuta del benzinaio. Questi continuò a dormire, ignaro, cullato dalle dolci note di un’aria di Chopin.
Uscì di nuovo nella notte e si incamminò verso le sue macchine, verso il suo lavoro, verso gli attrezzi e gli odori che conosceva e che gli davano un senso di sicurezza, di familiarità.
Quando fu di nuovo in officina si chiuse la porta alle spalle e vi ci si appoggiò, cercando di ricordare il motivo che l’aveva spinto ad uscire. Gli tornò in mente il distributore automatico di sigarette e si ricordò che non le aveva comprate.
Sorrise. Il sorriso divenne una risata sonora, unico indizio di umanità in mezzo al meccanico rumore. Si era appena ricordato che aveva smesso di fumare due mesi prima.

6 commenti:

"PG" ha detto...

L'auto arriva a spinta al distributore. E il benzinaio esclama: "Benzina finita!"
"Già!" risponde l'automobilista "Mi faccia il pieno per favore."
"La benzina è finita." risponde di nuovo l'addetto.
"Ho capito, lo so che è finita, non sarei qua, mi faccia sto pieno!".
"No, non ha capito, NOI abbiamo finito la benzina, stiamo aspettando il camion da stamattina ma non si vede."

Gloria ha detto...

Non mi dire che è successa davvero, perché pare una bestialità. :)

"PG" ha detto...

Così come l'ho scritta è presa di peso da "The Blues Brothers", ma il mese scorso sono andato a fare benzina e ho trovato il benzinaio, la moglie e un amico seduti su 3 seggiole poco distanti dalle colonnine di benzina a chiacchierare. Come mi fermo mi dicono che hanno finito la benzina e stavano (anche loro) aspettando il camion...

"PG" ha detto...

p.s.
Ho un nuovo sogno da far analizzare, sempre su http://ilblogdipg.blogspot.com

Gloria ha detto...

Uh, vengo a leggere. Quello in cui rasi tutta una collina? Non avevo capito fosse un sogno. :)

"PG" ha detto...

yes quello. Se non ce lo scirvo, ci metto l'etichetta sotto :-)